venerdì 26 novembre 2010

Da Emanuela



Non conosco “MAZAPECUL”, non l’ho mai visto, ma chi mai poi lo avrà visto?

Porta un nome così strano, dialettale, contadino, forse anche un po’ vecchiotto, certamente superato da ben più moderni e conosciuti Gnomi, Folletti, Elfi, Troll e quant’altri esserini a cui la nostra società tecnologica lascia tuttavia uno spazio di manovra, legato a quel lato infantile e “piccolino” che fortunatamente ancora resiste anche in noi uomini del 3° millennio.

Per caso mi è stato chiesto di farne una riproduzione per i bambini di una scuola materna di Viserba. Arduo compito; dato che come ho specificato, non l’ho mai veduto.

Mi sono documentata ed ho trovato alcune strane interpretazioni del suo buffo aspetto.

Delusa per le sembianze poco accattivanti, assai meno grazioso e simpatico dei suoi “moderni” sostituti.

Perciò assenza totale di ispirazione, ma…. Ecco la fonte d’ispirazione arrivare… inattesa e sconcertante.

Avevo preparato da un po’ di tempo alcuni scatoloni con dei vecchi libri da archiviare, sistemati in casa; cerco aiuto per spostarli, essendo molto pesanti, mio figlio si offre e me li porta in garage.

Lavoro abbastanza faticoso anche per un ragazzo forte ed allenato e quindi lo aiuto anche io nell’ardua impresa.

Ed eccolo il piccolo “MAZAPECUL”, che forse non esiste, che nessuno ha mai visto, ma se lo cerchi…c’è.

La sera tornati a casa, quanta meraviglia e stupore nel vedere, i pesanti scatoloni ritornati in casa come erano e dove erano, prima dello spostamento.

Nessuno li aveva spostati, nessuno ne sapeva nulla, era chiaro…., lampante…., quello era un dispetto, di quell’esserino, spirito beffardo, della casa, richiamato dal nostro cuore.

Non ho visto “MAZAPECUL” ma ora so come è ed ho potuto disegnarlo.


Emanuela per l’Associazione L’Ippocampo Viserba.

mercoledì 20 ottobre 2010

Cinema Teatro RIVOLI

l'allegata fotografia è il " fù " Cinema Rivoli di Viserba in Via Milano.




Già Cinema Teatro Nuovo, possedeva un enorme palcoscenico - della grandezza circa di quello del Teatro Novelli.

Di seguito, negli anni 50 il palcoscenico è stato sostituito dalla costruzione di un appartamento, piuttosto grande, che

ha ospitato la famiglia Righi che, all'epoca , assieme ai Pinzi (vedi Arena Imperiale) erano proprietari del locale.

Negli anni '60 il Cinema-Teatro Nuovo ha ospitato ilo celebre Veglione dei Fiori organizzato dal Circolo Cittadino la

cui sede era allora nel mitico Caffè Nautic dei Panighelli.



Trasformato in Cine Rivoli, quando è stato demolito per il " solito " Condominio, il proprietario del locale ebbe a dirmi

(io ho fatto per 35 anni il proiezionista nel cinema): demoliamo il locale anche grazie ai vostri politici ???!!! - Meditate gente, meditate.


Ciao a tutti

Francesco Protti  per L'associazione Ippocampo Viserba

martedì 19 ottobre 2010

L'ippocampo accolto dalle Parrocchie di Viserba Mare e della Sacramora.

Pierluigi Sammarini per l'"Associazione Ippocampo Viserba"

Sono trascorse due settimane dove l'attività tra la gente di Viserba,  in un clima decisamente autunnale, ci ha visti con la nostra testimonianza della Memoria tra la gente del Nostro Territorio, in particolare con le Parrocchie di Viserba Mare, Domenica 10 Ottobre e la Parrocchia di San Vicinio della Sacramora, Domenica 17 Ottobre.

Lascio ad altri il compito di descrivere i momenti peculiari degli eventi.

Io vi narro la mia sensazione in qualità di presidente dell' IPPOCAMPO.

L'Ippocampo registra questi due momenti, vicini e contigui e ne riporta la Cronaca degli stessi a futura memoria.

A Viserba la processione con la Madonna.


E la settimana successiva in Via Pallotta la processione con le spoglie di San Giuliano;



Quanta partecipazione, la gente si stringe attorno alle realtà parrocchiali con varie motivazioni, da quelle di componenti di comunità cristiane, ma anche a quelle di cittadini, bisognosi di momenti di aggregazione, di motivazione spirituale, o di interesse nei confronti di uno "STUPORE" che ci assale nei momenti quotidiani troppo spesso privi di obiettivi.

La gente  è partecipe, chi si butta nella mischia ne trae sempre un giovamento.
Scopre che la comunità allargata dei cittadini, delle parrocchie, delle associazoni, delle famiglie, si può ritrovare insieme e scoprire i motivi dell'essere.

Dalle tradizioni, alle esperienze di fede, dalla pigrizia dei un divano domenicale alle gioie della condivisione dei messaggi dell'altro che chiede di incontrarti facendoti vivere la storia della sua fede.

L'IPPOCAMPO vuole essere dentro la cronaca. Tutta,  ed è in prima linea nella ricerca che gli individui manifestano col loro passato, le tradizioni, la fede, i fatti del quotidiano che diventano per noi Storia.

La Storia dell'essere.

Il nostro stand ha brillato di luce riflessa dalle esperienze della gente;


Ed abbiamo scoperto anche un'aspetto simpatico comune a tutti, sempre e costante, nella storia come nella vita quotidiana, nel retaggio di noi "semplici" come ai convivi dei potenti. La Cucina.

Che tutti ci unisce.


Cuochi della festa Parrocchiale di Viserba Mare.




Cuoche della festa parrochiale di San Vicinio della Sacramora.


Anche questo è l'IPPOCAMPO. Ciao

mercoledì 1 settembre 2010


La tratta secondo la tradizione dei pescatori riminesi: quattro giorni di rievocazioni con la Pro Loco Ghetto Turco


Anche quest’anno l’associazione Pro Loco Ghetto Turco di Rimini, di concerto con alcuni pescatori esponenti storici della marineria viserbese, organizza la rievocazione delle vecchie tradizioni di pesca riminesi. Saranno quattro le calate di tratta, due sulla costa nord della città, due nella zona sud.
Appuntamento il 4 settembre a Viserba (stabilimenti 37-38) dalle 16; il 5 a Viserbella (bagno 40) alle 16.30; venerdì 10 a Miramare (stabilimenti 139-140); sabato 11 a Marebello (bagni 99-100).
Quest’anno la Pro Loco coinvolgerà anche gruppi delle scuole riminesi, con l’obiettivo di far conoscere a bambini e ragazzi le tradizioni marinare dei loro nonni e bisnonni. Insieme a cittadini e turisti, gli alunni saranno invitati ad assistere dall’arenile alle operazioni di pesca.
Le scuole riminesi potranno inoltre visitare il museo dell’associazione “E’scaion ”, che propone, attraverso l’esposizione di raccolte etnografiche e naturalistiche, di preservare la vitalità della memoria e diffondere la conoscenza della locale cultura marinara. Nell’occasione sarà allestita una rustida secondo la vecchia tradizione dei pescatori riminesi, dimostrazione concreta della qualità dei prodotti dell’Adriatico nell’ambito della rievocazione della tratta.
La Pro Loco Ghetto Turco ringrazia la Capitaneria di Porto per avere autorizzato l’iniziativa di valorizzazione delle tradizioni della gente di mare riminese.





Marzia Mecozzi per ass.IPPOCAMPOVISERBA

domenica 29 agosto 2010

La maestra Savoia nei ricordi degli alunni di un  tempo. I ricordi di Laura Botteghi

A Viserba tutti ricordano la scuola di via Donizetti, la palazzina a due piani dove in quattro aule erano ospitati i bambini delle scuole elementari. Le maestre erano quattro: Savoia, Mazzoni di Viserbella, Bianchi e Albertina Montebelli che venivano da Rimini.
Poi c’era la maestra Perdicchi che insegnava in via Mazzini nell’odierna sede del Quartiere.
I ricordi di due scolare del tempo, Marisa e Laura, sono ben chiari.
Laura è della classe 1923 e racconta: con la maestra Savoia ho frequentato le cinque classi elementari, classi miste e numerose. Erano gli anni di povertà, quelli del 1930. La maestra era un’autorità. Quando entravamo in classe sapevamo come comportarci: tacere e “ubbidire come agnelli”.
Era un’insegnante stupenda, paziente e brava. Seguiva molto i bambini e capiva le necessità di tutti. Abbiamo imparato a scrivere riempiendo quaderni di aste, di numeri, di esercizi di bella scrittura. La giornata era piena: al pomeriggio una volta abbiamo recitato in una commedia. Il mio ricordo è riconoscente. Certamente avevamo soggezione di lei, non osavamo ribattere alle sue osservazioni come fanno i ragazzi di oggi. Obbedivamo tacendo.
Se si sbagliava, era facile essere messi dietro alla lavagna o colpiti sulle mani con una bacchetta che la maestra teneva sulla cattedra.
Le mie scuole sono finite con la quinta elementare, ma le conoscenze acquisite non sono inferiori a quelle che i ragazzi di terza media oggi conseguono.
Eravamo sette fratelli, di cui due maschi. Mio padre decise che la formazione scolastica mia e delle mie sorelle era sufficiente. Proseguire gli studi era una prerogativa dei maschi (i miei fratelli sono diventati ragionieri). Talvolta la maestra riteneva che qualche scolara era dotata di buona intelligenza e consigliava  di proseguire gli studi nelle scuole di Rimini, ma si arrendeva davanti al pregiudizio e l’ignoranza di molte famiglie: per le donne lo studio non era necessario e andare a studiare a Rimini significava “diventare delle poco di buono”!
Il destino delle femmine era, perciò, diventare donne di casa. Al massimo si andava a imparare a cucire in quel laboratorio di sarta dove non restava, anche qui, che stare zitte, lavorare e… ubbidire!

articolo a cura di Donata e Maria Cristina, per associazione L’Ippocampo Viserba

giovedì 5 agosto 2010

Viserba. Il sole discreto che non fa rumore. Omaggio a Elio Pagliarani.


Articolo di Maria Cristina Muccioli per Ippocampoviserba




Anche quest’anno Viserba accoglie per le ferie estive il “suo” poeta.
Elio Pagliarani, uno degli ultimi esponenti della Neoavanguardia del Novecento, fondatore del Gruppo 63 e tanto altro ancora, sta infatti trascorrendo le vacanze insieme alla moglie Cetta nella sua casa in riva all’Adriatico.
Non tutti lo riconoscono…
Nella piazza centrale, qualche sera fa, qualcuno gli si è avvicinato quasi timidamente… semplicemente per stringergli la mano. 
Nella sua opera “La ballata di Rudi” Pagliarani ha descritto, con le tinte e i ritmi della sua poesia (“un rapper di neoavanguardia”, lo ha definito un critico) i luoghi e le persone di Viserba, la sua terra. 
Le sue liriche hanno raccontato i cambiamenti suoi e del suo paese (o meglio i suoi paesi-paesaggi) dagli anni ’50 al 2005.  Nei suoi scritti musicalità, tensione lirica e l’intenzione di narrare si condensano in una dimensione epica e drammaturgica.”
Uno dei paesi-paesaggi è proprio la nostra, la sua, la mia Viserba.
Un esempio? La spiaggia e il sole discreto, “che non fa rumore”.
Elio Pagliarani 
La “La ballata di Rudi” (1995)
VI. A spiaggia non ci sono colori
A spiaggia non ci sono colori
la luce quando è intensa uguaglia
la sua assenza
perciò ogni presenza è smemorata e senza trauma
acquista solitudine
La parole hanno la sorte dei colori
disteso
sulla sabbia parla un altro
sulla sabbia supino con le mani
dietro la testa le parole vanno in alto
chi le insegue più
bocconi con le mani sotto il mento
le parole scendono rare
chi le collega più
sembra meglio ascoltare
in due
il tuo corpo e tu
ma il suono senza intervento è magma è mare
non ha senso ascoltare
Il mare è discreto il sole
non fa rumore
il mondo orizzontale
è senza qualità
La sostanza
è sostanza indifferente
precede
la qualità disuguaglianza

mercoledì 28 luglio 2010

SPIRITI DI OLIMPIA di Paritani
A Gorizia presso i Musei Provinciali dal 15 luglio al 29 agosto
Marzia per L’Ippocampo
Segnalo a tutti i lettori del Blog dell’Ippocampo questa notizia, per due motivi: il primo, è che i fotografi Paritani sono due miei amici carissimi e due grandiosi professionisti dell’immagine; il secondo, è che Spiriti di Olimpia, che consiglio di andare a visitare, non solo a Gorizia, ma anche sul sito ufficiale www.fotoparitani.it/olimpia.htm è un servizio fotografico straordinario realizzato all’interno della Corderia di Viserba.
“Nell’ambito dell’edizione 2010 del Premio Sergio Amidei, dal 15 luglio al 29 agosto, si svolgerà a Gorizia, presso i Musei Provinciali, la mostra fotografica “Spiriti di Olimpia” dei fotografi Paritani. Il duo Paritani – Roberto Pari e Sergio Tani - non ha conosciuto il critico Ugo Casiraghi, ma la mostra si pone curiosamente al punto di incontro fra la sezione Film and Reality: Naziskino – Ugo Casiraghi (che ospita il celebre documentario in due parti Olympia di Leni Riefenstahl) e l'altra grande passione di Casiraghi: lo sport.
Ed ecco il collegamento con i Paritani che per anni hanno giocato e fotografato con ironia protagonisti di varie specialità sportive, dove gli  atleti si muovono in un paesaggio postindustriale, immersi in scenari nei quali dominano grandi ruote d'acciaio – un tempo cuori pulsanti di una corderia – scheletri metallici di frantoi per inerti, ruderi di fabbriche dai cui muri sbrecciati emergono, come nervi e ossa di un corpo ormai in decomposizione, barre d'acciaio usate per il cemento armato, che possono pure fare le veci di liane per pareti da scalare.
Nel gesto stilizzato degli atleti gli autori non mirano tanto a rappresentare l'agonismo, la lotta, ma rivelano piuttosto la ricerca della natura arcaica e profonda dello sport, quella natura che accomuna le movenze della pratica agonistica all'armonia della danza. Dai loro scatti trapela un “occhio fotografico” educato e colto, ricco di citazioni e omaggi agli amati fotografi Horst, Mapplethorpe e Luxardo, ma con un originale e fanciullesco piacere per il gioco e per la sorpresa.

martedì 27 luglio 2010

Due brevi aneddoti viserbesi
Dalla memoria di Carlo Alberto Bianchi
Marzia Mecozzi per L’Ippocampo

Di viserbesi del passato, che hanno colpito la fantasia di scrittore di Carlo Alberto Bianchi, ce ne sono un paio dei quali, con magistrale tocco e raffinata attitudine alla penna, ci descrive aspetto, movenze, peculiarità.
Prima di affrontare la storia dell’uomo che ha pettinato le signore più nobili e famose negli anni in cui le ville della prima linea (cioè quelle affacciate direttamente sulla spiaggia) ospitavano le Famiglie più in vista del Bel Paese, ecco due brevi ed inedite storie narrate dalla viva voce del coiffeur di Viserba, alias autore del bel libro autobiografico “Viserba, e un suo paesano che si racconta”.

L’uomo dalla pipa in bocca.
“Era sempre chino sulla riva del mare, impegnato a rammendare le reti… Si chiamava Neri; il nome di battesimo non lo ricordo più… Eravamo soliti vederlo aggirarsi solitario col berretto da marinaio calato sugli occhi e l’inseparabile pipa in bocca. Neri aveva una caratteristica precisa, nota a tutti, anche ai forestieri: era un famelico mangiatore e, cosa stupefacente, era magro come un chiodo. Vederlo mangiare, direttamente dalla pirofila, era uno spasso. Suo figlio Osvaldo aveva ereditato la stessa attitudine al cibo. Si racconta che un giorno, uscendo di casa, sua moglie si fosse raccomandata con entrambi: - Ho messo su i fagioli, all’ora di pranzo, buttate giù la pasta! – A quel tempo le famiglie ricevevano la Carta Annonaria, una tessera che dava diritto alla provvista di alcuni alimenti e beni di prima necessità, come ad esempio il sapone, per tutto il mese. Beh, Neri e suo figlio Osvaldo, quel giorno buttarono giù la pasta, come ordinato dalla donna di casa e, per non rischiare di patire la fame, buttarono in pentola la pasta di tutto il mese!”

Il primo capostazione di Viserba.
“Il Signor Lodi veniva da Bologna e sembra che, quando arrivò a Viserba, la prima cosa che esclamò, guardandosi attorno, sia stata: - Ma dov’è ‘sta Viserba?!- Erano i primi anni del Novecento e il paese attorno alla ferrovia era quasi inesistente. Lodi, che sarebbe stato il capostazione della comunità per tanti anni, si era comprato una casa in via Pedrieri, dove visse con la sua famiglia fino alla fine dei suoi giorni. Suo figlio, pur lavorando fuori, ogni estate tornava per trascorrere qui le sue vacanze, era un giovane appassionato di mare. Un giorno, sul finire degli anni Venti successe la tragedia. L’uomo era uscito in barca con il figlioletto di sette anni. Forse ebbe un malore… Fatto sta che sparì in mare e il piccolo rimase solo sulla barca finché i soccorritori non lo trovarono. Il corpo del padre invece fu rinvenuto solo qualche giorno più tardi. Quel bimbo oggi è un noto avvocato del foro bolognese e la storia me l’ha raccontata di persona.”

Di questi piccoli aneddoti è ricca la memoria di Carlo Alberto Bianchi che, nella sera d’estate, seduto in Piazza Pascoli, ci ha regalato un’ora di parole e immagini che presto andranno ad arricchire la nostra raccolta di storie.

domenica 18 luglio 2010

Marzia Mecozzi per L’Ippocampo

Mezzo secolo di ‘bagni’.
Storia di una vacanza lunga una vita.


Questa settimana, il salotto del martedì dell’Ippocampo ha ospitato gli amici di Torino: Mattea (76 anni) e Enrico (80) Chiavarino. Bionda platino e sbarazzina lei, più pacato lui, ma entrambi piacevolmente complici nel gioco della memoria che gli abbiamo proposto.
Bagnanti a Viserbella prima e a Viserba poi, dal 1956, considerano questo luogo molto più che una seconda casa: piena di amici e, un tempo, anche ricca di momenti indimenticabili. Il desiderio di ricordare è contagioso, soprattutto in coloro che hanno vissuto con gioia l’epoca più vistosa e felice della Regina delle Acque, al tempo in cui la musica, il ballo e l’intrattenimento regnavano sovrani e accompagnavano, al ritmo accattivante dello swing, le ore liete e licenziose della vacanza al mare.
“La prima volta che arrivammo al mare, fu in treno: Torino-Rimini. – ricorda Mattea - Dalla stazione di Rimini, il taxi che ci portò fino a Viserbella, all’Albergo Ostenda, era una carrozzella trainata dai cavalli. Era l’estate del ’56. Per tre anni siamo tornati nello stesso albergo, dove restavamo 15/20 giorni. Quando ci siamo comprati l’auto, - prosegue Enrico - una Fiat 600, abbiamo iniziato a fare il viaggio di notte: partivamo da Torino la sera tardi e arrivavamo a destinazione verso il mezzogiorno del giorno seguente.”
Mattea ricorda ed elenca uno a uno i luoghi dei suoi soggiorni da turista.
“Dopo l’Ostenda, per diversi anni siamo scesi all’Hotel Miami e quando i gestori hanno acquistato la Pensione Ala, a Viserba, li abbiamo seguiti. Dopo l’Ala è stata la volta del Byron, dai signori Pinzi e poi, per Vent’anni siamo stati ospiti dalla Rolanda. Negli ultimi anni siamo stati dai signori Fiorini, all’Hotel Riviera, molto curato ed elegante. Poi, quando siamo andati in pensione, abbiamo smesso di essere turisti e siamo diventati, per metà, viserbesi: infatti abbiamo preso in affitto una casetta dove trascorriamo l’intera estate. Non appena arriva il caldo… eccoci qua nella nostra casa al mare!”
Cinquataquattro estati. E molti cambiamenti.
“Soprattutto nello spirito del luogo. – riconosce Mattea con un pizzico di amarezza – Questa Viserba non è più quella che ci ha fatto innamorare di lei… quella che vantava feste, balli, locali, musica, personaggi vip, un luogo come oggi si sente dire di Milano Marittima, di Riccione… Viserba era proprio così. Qui, giorno e notte, c’era una gran vita.”
Il loro affetto per questa cittadina è immutato, e lo hanno tramandato alla figlia e alla nipotina, che li raggiungono ogni anno ad agosto, ma quanta nostalgia di quei giorni…
“Qualche anno fa, proprio qui, in Piazza Pascoli, - racconta Enrico - è stata organizzata una festa a tema: il tema era “una serata alla Villa dei Pini”, quel bellissimo locale che andava così di moda… e l’allestimento è stato curato nel dettaglio, con tanto di camerieri, tavolini, orchestra… Ci è sembrato di rivivere la magia di quelle estati, quando Gorni Kramer dirigeva la sua orchestra, Vittorio Corcelli cantava… e c’era Mina.”
E non c’era soltanto la notte… anche le proposte di spiaggia avevano un certo appeal: per esempio Mattea e Enrico ricordano la tradizionale gara delle sculture di sabbia, che la loro figlia, un anno vinse con una rappresentazione dedicata a Collodi; un evento ormai archiviato da tempo, ma che ha dato il là, in questi ultimi anni ai presepi di sabbia che a Rimini e a Torre Pedrera richiamano ad ogni Natale migliaia di visitatori da tutta Italia. Forse sarebbe il caso di pensare ad un revival?

domenica 11 luglio 2010

"Bar Dancing Sacramora"

Il Bar Dancing Sacramora nei ricordi di Malvina Tamburini
(intervistata in giugno 2010)

“Avevamo messo molti tavolini attorno al bar e avevamo uno dei primi televisori. Quando trasmettevano  ‘Lascia o raddoppia’ la gente di Viserba veniva da noi portandosi le sedie da casa!”

La signora Malvina Tamburini ricorda con un pizzico di nostalgia il periodo in cui gestiva il “Bar Dancing Sacramora”, all’interno del parco creato attorno alla pozza da cui sgorgava la famosa sorgente di acqua cristallina.

“Nel ‘49/50 la sorgente, anche se già famosa e frequentata, era un ‘coppo’ nel terreno che, allora, era di proprietà della famiglia Sarti (commercianti di stoffe in piazza Tre Martiri, dove oggi c’è il negozio Max Mara). In quegli anni i Sarti diedero in affitto questo appezzamento alla mia famiglia, che arrivava da Bellariva, come orto. Poco dopo il terreno venne acquistato da Cottarelli, un ricco medico milanese  che aveva un grande albergo a Riccione. Lui e sua moglie nel 1954 tennero a battesimo il mio primogenito, Paolo. Grande spirito imprenditoriale, il suo! Fu lui, vedendo quanta gente veniva a berla, ad avere l’idea di sfruttare l’acqua della Sacramora per l’imbottigliamento e il successivo commercio. Già a quei tempi pensava anche alla trasformazione di Viserba in stazione termale, ma le sue idee non vennero mai condivise dalle pubbliche amministrazioni a cui lui presentava i suoi progetti e neppure dai proprietari dei terreni che avrebbe voluto acquistare per realizzare il suo sogno. Il primo stabilimento aveva come unica operaia mia sorella Maria, mentre mio padre, già affittuario come ortolano, divenne il custode-factotum. C’era anche la Giuseppina Sarti, appena diciottenne, che faceva la contabile.”

L’industria dell’imbottigliamento ebbe successo, tanto che pochi anni dopo, durante l’estate, vi lavoravano anche quindici persone.

“Cottarelli sostenne e incentivò la costruzione di un bar con annessa pista da ballo, che mi concesse poi in gestione - continua Malvina - A dire il vero lavorammo di badile io, mia sorella e una cameriera che avevo assunto, proveniente dalle campagne ravennati. Da sole abbiamo riempito con la terra i due fossi che c’erano (ci si pescavano le sanguisughe, che vendevamo alle farmacie). Poi abbiamo costruito un chiosco, la pista da ballo, la fontana rotonda sotto i salici piangenti. Un posto molto bello!”
 
Erano gli anni in cui spopolavano le orchestre, si ballava tutte le sere, la gente veniva appositamente a Viserba anche da lontano.

“Avevamo due o tre camerieri. Non erano stipendiati, ma si tenevano le mance. Con questo sistema guadagnavano molto bene! Un’estate venne persino Adriano Celentano a cantare alla Sacramora! Il bar lo aprivamo molto presto, al mattino, perché c’era molta gente che veniva da Rimini per bere l’acqua. Ricordo i festeggiamenti del Millenario, nel 1957, con tantissime personalità. Venne inaugurato il bassorilievo e il dottor Cottarelli firmò pubblicamente, applaudito da tutti, un documento in cui si impegnava a permettere ai cittadini riminesi di attingere l’acqua della Sacramora nonostante lui avesse avuto la concessione di sfruttamento minerario per l’imbottigliamento. Poco dopo Cottarelli vendette ai Savioli, che trasferirono lo stabilimento più su, verso monte. Il bar l’ho gestito fino al 1958. Dopo di me l’ha avuto un altro gestore per una stagione. Poi basta. Un’avventura conclusa. Ci sono diverse cartoline che testimoniano quel periodo: le avevamo fatte stampare io e mio marito Guido. La didascalia recita: ‘Viserba, Fonte Romana Sacramora’. Sì, direi proprio che non salvaguardando e valorizzando questo luogo come meritava e come Cottarelli, nella sua lungimiranza, aveva sperato, Viserba ha perso una grande occasione!”

martedì 6 luglio 2010

La maestra Ada Savoia

Incontro con Alba Biasini, figlia della maestra Ada Savoia
Marzia Mecozzi per L’Ippocampo.

All’ombra dei pini secolari, la pianta quadrangolare dell’antico casale, orientata nella direzione del sole e non, come le altre case di via G.Donizetti, parallela alla ferrovia, rivela l’origine della struttura, antecedente alla costruzione della linea ferroviaria. La Villa, che, come spiega l’architetto Pierluigi Sammarini, dovrebbe avere circa duecento anni, è proprietà e dimora estiva di Alba (Bibi) Biasini, che riceve il team dell’Ippocampo nel fresco del suo giardino, uno dei più grandi di Viserba, ai piedi di quella facciata bianca dalle persiane verdi coi balconcini dai fregi preziosi e ferro battuto, avvolta fino a non troppo tempo fa dai racemi di un’edera rampicante che la rendeva – se possibile- ancor più fascinosa e suggestiva.
L’incontro con Bibi (1924), elegante signora di origini forlivesi, nella sua casa di Viserba, è teso a farsi raccontare la storia di sua madre, la maestra Ada Savoia, una delle insegnanti ‘storiche’ di una Viserba agli albori del XX° secolo. Negli anni del Ventennio, la politica fascista aveva avuto grande interesse per la scolarizzazione e per la lotta all’analfabetismo, le classi elementari furono istituite ovunque, fin nei più piccoli centri urbani, tale era Viserba, in quella data. Nel ’23 c’era stata la riforma della scuola, quella definita da Mussolini "la più fascista delle riforme", opera del Ministro dell'Istruzione, il filosofo neoidealista Giovanni Gentile, che rimase sostanzialmente inalterata anche dopo l'avvento della Repubblica. È in questo contesto che si colloca la vita e l’esperienza di una insegnante e della sua famiglia.
Alba è nata nel 1924 e, come racconta, ha frequentato le prime due classi elementari a Viserba con sua madre per maestra. Dunque nel Trenta, Alba ha sei anni e frequenta la prima classe, presso la scuola Edmondo De Amicis di Viserba.
La Scuola, oggi ristrutturata villa padronale, si trova proprio di fronte all’antico cancello di villa Savoia-Biasini, e la maestra che veniva da Forlì per allontanarsi dal rigore della propria famiglia e che aveva insegnato per qualche tempo a Bellaria prima di raggiungere Viserba, si era a tal punto innamorata di questo luogo, silenzioso e riservato, che non lo aveva abbandonato più. Per tanti anni Ada Savoia ha insegnato ai bambini di Viserba, diventando per molti un punto di riferimento, non soltanto didattico, ma anche umano.
Nell’articolo, che presto metteremo on line, vedremo perché…

venerdì 2 luglio 2010

Ippocampoviserba in piazza



La memoria in Piazza Pascoli
Di Marzia Mcozzi per L’Ippocampo

La piazza è il luogo dell’incontro, dello scambio, delle chiacchiere, dell’amicizia. E con l’estate eccoci finalmente in piazza.
Lo stand dell’Ippocampo, è stato ampliato e strutturato in vista del ruolo ‘istituzionale’ dell’Associazione nell’ambito del programma per l’estate 2010. Come si può vedere dalle immagini, due straordinare gigantografie dominano la scena. Una, rappresenta la piazza Pascoli com’era… l’altra, è Viserba secondo l’Ippocampo (opera grafica di Loredana Cramarossa). Questa immagine è diventata anche una cartolina, che ripropone le linee scelte dall’Associazione per esprimere l’identità del luogo. Gadget molto apprezzato, sia dai turisti che dai nostri concittadini, viene donata a promozione non soltanto di Viserba, ma del lavoro che stiamo facendo, perché tutti coloro che desiderano far parte documentata della storia di Viserba (e dintorni) sappiano chi siamo e dove trovarci.
Di lato allo stand, c’è un piccolo salotto, pensato per chiunque abbia qualcosa da raccontare.
La serata è vivace, c’è tanto via vai e curiosità attorno al Laboratorio Urbano della  Memoria, fra i tantissimi che si fermano, chiedono e partecipano, si riconoscono i volti noti degli habitué, indigeni e forestieri. Il gruppo dell’Ippocampo, capitanato dal Presidente Pierluigi Sammarini, è al lavoro, ciascuno con il suo ruolo. Maria Cristina Muccioli prende nota, per la sua ricerca, di tutti i soprannomi locali, che presto saranno resi noti e pubblicati su queste pagine.
Io e Nerea Gasperoni raccogliamo storie… Paolo Catena scatta le foto.
Il primo ospite del nostro salotto, è ‘Primo’ di nome e di fatto.
Rocchi Primo (appunto) detto Nino, classe 1922. Dalla storia di Primo, che andrà ad arricchire il nostro patrimonio esclusivo di testimonianze, qui riassumo qualche suggestiva memoria di guerra, dal diario segreto di un autentico partigiano.
“Tornai a Viserba, la mia terra d’origine, dopo gli anni trascorsi a lavorare prima a Milano, poi a Napoli, risalendo insieme al fronte. Già a Napoli ero stato fra i gruppi antifascisti che avevano liberato la città dal dominio nazista ancor prima che gli alleati arrivassero… E quando la guerra parve sul punto di finire intrapresi un turbolento viaggio di ritorno a casa; un po’ a piedi, un po’ con un convoglio che mi portò fino a Roma… ricordo che avevo una gamba ferita piuttosto gravemente. (…) Mi ero fatto le quattro giornate di Napoli, ero avvezzo alla vita sotterranea, che anche qui a Viserba presi a condurre. Stavamo sempre nascosti, non sapevamo neppure il nome degli altri del gruppo, perché se i tedeschi avessero preso qualcuno di noi, non saremmo stati, neanche volendo, in grado di rivelare le identità dei compagni… Stavamo nascosti nella vecchia corderia, dentro un enorme pagliaio dal quale potevamo veder fuori, cosa stesse accadendo…”
E ancora: “Qua a Viserba andavano e venivano anche uomini politici e militari importanti. Diversi Generali avevano qui le loro ville estive. Fra questi c’era il Generale Malavasi, romano, capo di stato maggiore dell’esercito italiano. Aveva firmato con Badoglio la resa dell’Italia. Insieme alla moglie, la Contessa De Laurenti (il padre era un famoso medico), si era rifugiato qua, nella sua villa fra Viserba e Viserbella, all’angolo di via Vincenzo Busignani. I tedeschi lo cercavano, lui si era nascosto nelle cantine della villa, c’erano anche altre otto, dieci persone insieme a loro… gente di qui, del posto. Nessuno ha parlato, tutti hanno mantenuto il segreto, c’era molta solidarietà. Anche i forestieri, che passavano qui l’estate, erano di noi.”
Questo è un piccolo stralcio della storia raccolta nel nostro salotto, nel primo martedì di piazza, terminato all’Angolo del Caffè ospiti dell’amico Gianni, davanti ad una bottiglia di buon vino bianco ‘ghiacciato’ al punto giusto. 

domenica 20 giugno 2010

vacanze di ripiego o vacanza che non fà una piega?

Oggi segnaliamo questo blog di una "turista per caso" che ha scoperto Viserba per caso. Vi consiglio di visitare il suo sito anche per le bellissime foto e anche perchè fà piacere che qualcuno faccia considerazioni sul ns. ameno luogo di villeggiatura. Se aggiungete che ha scoperto anche le ns. amiche Danda e Cristella ecco che si chiude il cerchio. Grazie Nora e ti aspettiamo sul ns. sito.


lafelicestagione.blogspot.com

domenica 13 giugno 2010

1944-1945 LA RESISTENZA di Vincenzo Baietta
(4° classificato al XVIII concorso di poesia dialettale “Giustiniano Villa”


Sas sparguiun ma tèra,
omni, strazid, tradid, umiglid, in guera.
Moschi, muscun, bdôcc, zanzeri e polsi
Cl’it magna.
Sorg, a cungrès sl’asa de furmai, senza furmai,
jà decis, j’andrà in campagna.
Vecc,
chi va lèta sa dò radècc.
Veci,
c’l’fa claziòn
s’un urazion.
Burdlin,
chi pianz la fema, purin,
drèinta un casèt
cuj fa da lèt.
Brazi, sempra piò stili, c’al lòta,
al smòv la tèra, al tin bòta.
Tenta pora zènta
Ch’jà strisè ma tèra la pèla
per mez piat ad pulènta,
un quadret ad pida,
un mond piò gióst,
‘na vita piò bela.


Sassi, macerie,sparsi per terra,
uomini,straziati, traditi, umiliati in guerra.
Mosche, mosconi, pidocchi, zanzare e pulci
Che ti mangiano.
Topi, a congresso, sull’assa del formaggio,senza formaggio,
hanno deciso andranno in campagna.
Vecchi,
che vanno a letto avendo mangiato un po di radicchio.
Vecchie,
che fanno la colazione con una preghiera
bambini, che piangono dalla fame, poverini,
dentro un cassetto
che gli fa da letto.
Braccia,sempre piu’ magre, che lottano,
smuovono il terreno, tengono botta.
Tanta povera gente
Che ha strisciato in terra la pelle
per un piatto di polenta
un pezzo di piada,
un mondo piu’ giusto
una vita piu’ bella.

Dall’intervista a Vittorio Corcelli


Di Marzia Mecozzi per L’Ippocampo

“Il Jazz è quella musica che, quando l’ascolti, non puoi fare a meno di muovere i piedi…”

Sabato 12 giugno, all’ora dell’aperitivo, è il famoso Vittorio Corcelli, l’Uomo del Jazz, a presiedere il tavolo della memoria. Della redazione di Ippocampoviserba ci sono Marzia, Maria Cristina, Loredana, Paolo e Nerea con la partecipazione e supervisione del presidente, Pierluigi.
Il luogo è ideale: l’angolo riservato agli eventi culturali del Cafè Matisse di Viserba.
Il caldo estivo toglie il fiato, ma qualche nota, qualche celebre frase dal repertorio swing ci scappa, ogni tanto, ad intonare il ritmo delle chiacchiere in libertà. Lui conduce.
La voce dalla dizione elegante ci riporta agli anni della Publiphono, Polo Nord-Ovest, dagli annunci pubblicitari a quelli dei bambini sperduti (che sembrano quelli dell’isola di Peter Pan e invece sono i piccoli bagnanti dispersi sulla spiaggia affollata).
Qui di seguito, riporto uno stralcio dell’intervista alla quale, nei prossimi giorni, Maria Cristina darà veste definitiva di articolo.

Vittorio è un artista, di quelli veri, che artista ci nascono. Lui è nato a Fano nel 1928, ed è arrivato a Rimini, con la sua famiglia nel 1941 seguendo il lavoro di suo padre che era procuratore delle imposte. A Villa Verucchio, dove la famiglia si era rifugiata in tempo di guerra, conosce il maestro Pazzini, musicista e autore di operette per ragazzi, che organizza il festival canoro per esordienti  dal titolo “L’ora del dilettante”, e si scopre cantante.
Finita la guerra, la voglia di ballare sembrava una febbre contagiosa, la gente aveva voglia di buttarsi alle spalle tutte le brutture che si erano consumate negli ultimi, tristi, anni. Si ballava intere nottate, perché, per via del coprifuoco, entravi in sala alle otto di sera e ci uscivi alle otto del mattino dopo!
“Le mie canzoni si differenziavano da quelle degli stornellatori di allora, di Claudio Villa, di Consolini… - dice Corcelli – Io avevo il mio mito in Natalino Otto, uno swing man di quelli autentici e ne riproponevo il ritmo, l’allegria. In quelle lunghe notti, quando il sonno cominciava a farsi sentire e c’era anche chi dormiva sul tavolo da bigliardo, le mie canzoni riuscivano a tenere tutti svegli…”
Nell’estate del 1946 fu inaugurato a Viserba il Garden Ceschi. “Ero amico di Marcello, figlio del Patron Ceschi, - racconta – Io avevo solo 18 anni, avevo vinto il Festival di Voci Nuove e Mario Latilla, grande personaggio legato al mondo della radio, mi valutò giusto per quel ruolo. Mi proposero 1500 lire a settimana. Mio padre mi diede il permesso, a patto che il signor Ceschi, finita la serata, mi riaccompagnasse a casa…”
L’anno successivo nacque la Villa dei Pini, il locale che rimase sempre un punto di riferimento, a Viserba, della bella società. Il suo ideatore era Gianni Nicolò, uomo ‘della notte’, capace patron di diversi locali alla moda, fra questi anche La Casina del Bosco. “Gianni mi aveva voluto alla Casina del Bosco con l’orchestra di Bruno Martino – ricorda Corcelli – successivamente, ho cantato alla Villa dei Pini per quattro estati, tutte le sere. Era il locale più esclusivo di Viserba, dove venivano organizzate grandi feste dai nomi esotici Notte a Parigi… La Bella Forestiera…”

… Il seguito alla prossima puntata.

venerdì 11 giugno 2010

Serata all' Ippocampoviserba


Giovedì 10 giugno. Poesie di Vincenzo Baietta, immagini di Francesco Protti e il progetto del gruppo scout Viserba, reparto Stella Polare, Squadriglia Puma.
Marzia Mecozzi per L’Ippocampo


“…Topi a congresso, sull’assa del formaggio, senza formaggio
hanno deciso, andranno in campagna.”

La poesia ‘di guerra’ di Vincenzo Baietta (in dialetto; qui soltanto una bella frase della traduzione in italiano) apre la serata dal ritmo incalzante, di giovedì 9 giugno. Sono versi sciolti in lingua romagnola, elegia di una miseria sobria e dignitosa, divisa coi topi (di città) in quell’agosto del ’44. Sono versi che, nella traduzione italiana non perdono d’efficacia, dove la tristezza amara della condizione, non dispone l’animo alla resa, ma induce al sorriso (ironia della sorte) alla maniera Baldiniana. Bravo Professore. Ma soprattutto, bella brigata, ieri sera, quella dell’Ippocampo! con alcune visite a sorpresa.
La prima: quella della delegazione del Gruppo Scout Viserba, reparto Stella Polare, Squadriglia Puma. Loro sono: Marika Russo, Antonella Grassi, Arianna Urbinati, Sara Tonini, Virginia Nitto e Alice Maltoni. Il gruppo, frizzante e dolcissimo, che si è presentato portando piadine e bevande per tutti, ha elaborato la Specialità CIVITAS, dedicata alla conoscenza del proprio territorio e la loro indagine, confluita in un bel video di interviste, mostrato ieri sera alla riunione dell’Associazione Ippocampo, ha coinvolto i loro nonni Luciano Tonini, Giuseppina Marisa Zanzani, Rino Magnani e Teresa Guidi.
Gli abbiamo domandato quale sia la cosa emersa da questi racconti, che le ha maggiormente colpite. “Mi ha colpito l’amore della nonna per il mare, - dice la tredicenne Sara - in tutti i suoi ricordi, lei ha parlato del mare… sempre.” Arianna aggiunge: “Mi hanno colpito i ricordi della guerra. E poi una cosa buffa: la nonna non aveva mai visto persone di colore prima dell’arrivo degli americani! Quegli uomini così diversi, le sembravano arrivare da un altro pianeta. Un’altra cosa che mi ha colpito, - prosegue Arianna – è stata la povertà. Il nonno (Rino Magnani), racconta che veniva da Borghi a piedi per andare a scuola, e che il suo amico veniva da ancor più lontano, ma partiva presto la mattina pur di fermarsi a casa sua e farsi fare un panino dalla mia bis nonna. La famiglia di quel ragazzo mangiava una sola volta al giorno… Quel panino valeva bene il sacrificio di allungare ulteriormente il percorso per arrivare a scuola.”
Bravissime ragazze! Ma soprattutto, che piacere la presenza del Presidente del Comitato Turistico di Viserba,  Francesco Protti.con le sue straordinarie immagini della Viserba antica. Scorrono nella proiezione scorci inusuali, vedute da prospettive isolite, panoramiche della spiaggia, del lungomare, della ferrovia… Spazi aperti, campi, acqua, cantieri, ville ancora in costruzione, abiti dalle fogge dimenticate, facce d’antan, ombrellini parasole e i primi alberghi: l’Albergo Principale, l’Albergo Stella d’Italia e il Caffè Concerto coi paralumi di bambù, dove si era esibito anche Secondo Casadei, l’Albergo Bologna, l’Albergo Roma Spiaggia, il Kursaal del quale Francesco possiede scatti da tutte le angolazioni…
E poi, addirittura una intervista registrata, con la viva voce di Gino Ernesto Acerbi, fotografo sulla spiaggia di Viserba fin dagli anni Trenta… Fotografo ‘ambulante’ dei villeggianti.
Eccone un piccolo stralcio.
Domanda: Cosa ti ha portato a Viserba?
Risposta: è stato il capo cancelliere del tribunale di Roma, lui mi ha trascinato a Viserba, perché ci veniva da anni…
Domanda: Come andava l’attività?
Risposta: Quella volta, la stagione era corta… c’era la miseria, si tirava giusto fuori la giornata. Oggi il lavoro da fotografo c’è per tutto l’anno…  io sono andato in spiaggia per settanta anni…
Domanda: Ricordi qualche personaggio famoso?
Risposta: Mi ricordo della Signora Matteotti, la moglie del deputato socialista. Qui le case erano tutte di generali, deputati, signoroni…

Questo è un esempio di alcune delle nostre serate…
Adesso ci prepariamo a ricevere gli ospiti bagnanti, amici estivi coi quali trascorreremo le migliori ore dell’anno… se volete approfondire insieme a noi dell’Ippocampo le storie viserbesi, a luglio e ad agosto ci potete trovare il martedì in piazza Pascoli.

lunedì 7 giugno 2010

Maria Cristina Muccioli per Associazione Ippocampo
Ho trovato on line questo interessante articolo su Viserba. Il “mito” della Sacramora e di san Giuliano viene letto in chiave più realistica di quella che tutti conosciamo: probabilmente dovremo storicamente approfondire, magari con l’aiuto di qualche studioso più referenziato di noi, che siamo semplici appassionati e curiosi.
Nell’articolo c’è lo spunto anche per raccontare un famoso ospite, Enzo Ferrari, che fino al 1963 aveva una villetta a Viserbella (v. foto). Anche questo approfondiremo, promesso!
casa_ferrari.jpg
Articolo pubblicato sul sito www.perfettaletizia.it

Viserba è una località balneare situata a 5 km a nord di Rimini.
Il nome Viserba deriva da “vis herbae”, che significa “abbondanza, floridezza, forza dell'erba”. Tale etimologia trova il suo riscontro nella situazione territoriale dove Viserba si costituì come nucleo abitato. Era una terra alluvionale prodotta dalle esondazioni del vicino fiume Marecchia, che avevano lasciato zone di strati di argilla organica e torba argillosa, nonché strati sabbiosi. Nel sottosuolo era poi presente un falda acquifera che vicino alla costa addirittura si esprimeva in polle zampillanti di acqua dolce. Dunque terra, sole e acqua erano la situazione ottimale per gli ortaggi.
La bonifica dagli acquitrini formati dalle deviazioni del Marecchia venne affrontata dai romani, che trattarono la zona con il sistema della centuriazione lungo la via Flaminia (220 a. C.). E'  da collocarsi in questo la genesi del nome Visherbae per quell'area.
 

Successivamente, le invasioni barbariche crearono grandi difficoltà per gli insediamenti della centuriazione. A ciò si aggiunse una situazione climatica problematica fra il IV e l'VIII secolo con abbassamento delle temperature e un aumento di piovosità con conseguente innalzamento del greto del Marecchia e quindi nuove esondazioni, che producevano acquitrini. Ci fu poi nel X secolo una rotta del Marecchia che produsse un ramo che sfociava sulla spiaggia di Viserba.
In seguito venne realizzata l'opera di bonifica dei monaci benedettini di San Vitale a Ravenna, che condussero i lavori di bonifica fino a Cattolica.
Viserba, che allora era più a monte, nella forma di un piccolo paese fatto di umili case di agricoltori e pescatori, poté così resistere a tante calamità. Attorno a Viserba i terreni erano incolti, con vegetazione spontanea, con dune sabbiose, ma a Viserba non mancavano gli orti e anche il commercio delle verdure trasportate al mercato riminese con un carro chiamato “veherba”, che vuol dire “trasportatore di erba”.
Nel 1885 si assistette all'inizio di un risveglio dell'area viserbese  e agli inizi del 900 un ingegnere bolognese si fece promotore della valorizzazione del paese vedendovi la possibilità di magnifiche ferie marine. Non c'era la luce elettrica, ma tanto silenzio e tanto mare. Nel 1908 c'erano già un centinaio di villette, e da queste nascerà il termine “villeggianti” a designare chi passava l'estate nelle località marine. Nel 1909 Viserba ebbe una stazione ferroviaria della linea Rimini, Ravenna, Ferrara, Venezia, che era stata costruita a partire dal 1889.
Agli inizi del 1900 gli abitanti di Viserba erano 611, ma nel 1936 erano già 3150.
 
La guerra del 15-18 divampò in breve. La notte del 23-24 maggio 1915 la massa oscura di un dirigibile passò sopra Viserba per raggiungere Rimini al fine di indirizzare l'artiglieria delle navi austriache che si stavano collocando davanti al porto. Un uomo di Viserba vide la massa scura volare sopra di lui e preso un fucile sparò tutte le cartucce che aveva, ma senza risultato. Il giorno dopo Rimini era bombardata dalle cannonate.
Si aggiunse un terremoto nello stesso mese di maggio. Giunsero a Viserba migliaia di profughi dal Veneto alla ricerca di cibo, di una sistemazione. Furono momenti durissimi per tutti, poi la pace e la ripresa del cammino verso la valorizzazione di Viserba come luogo turistico marino. Nel 1926 sorsero due Hotel, tre alberghi, venti pensioni.
Il prolungamento del molo di Rimini e il conseguente influsso sul moto ondoso e un fenomeno di bradisismo cominciarono ad erodere la spiaggia di Viserba così che nel 1935 si cominciò a provvedere alla costruzione di scogliere frangiflutti.
 
L'ultima guerra non toccò in maniera particolare Viserba.
Il fenomeno dell'erosione della spiaggia proseguì con intensità nel 1947-48 così nel 1950 venne completata la scogliera frangiflutti.
I frangiflutti crearono un effetto di intimità della spiaggia col loro senso di protezione. Oltre la scogliera attraverso larghi spazi c'era il mare aperto e le barche vi si avventuravano per la pesca e per il diporto.
Una fonte dava particolare notorietà, quella detta “Sacramora”. Le bottiglie con l'acqua “Sacramora”, con sopra il nome di Viserba arrivarono in tutta Italia, mentre alcuni rubinetti della fonte erano aperti al pubblico. Ora la fonte è stata chiusa per rischio di inquinamenti. Il nome “Sacramora” vuol dire  “sacra sosta”, e risale al rinvenimento delle ossa di san Giuliano martire.  Il ritrovamento è avvolto dalla leggenda, già formulata nel 1152. Le ossa del martire sarebbero giunte a riva dentro un sarcofago di marmo (1,50 m. di altezza e 2,00 di larghezza) che galleggiò, circondato da luce, dal Proconneso (Elaphonesos o Neuris) nel Mar di Marmara, fino alla riva adiacente la fonte. Un fondamento storico esiste. Quello che si può dire è che le spoglie di san Giuliano, originario di Istria e figlio di un senatore greco, vennero trasportate da qualche nave cristiana dal luogo di sepoltura andato in rovina, ripromettendosi di ricavarne un lucro. Le reliquie non furono accettate dalla Chiesa riminese poiché era commercio del sacro e ci fu quindi una sosta delle reliquie (“Sacra sosta”); in tal modo si spiega come le reliquie non poterono essere trasportate nella cattedrale. Sfumata la possibilità del lucro le reliquie trovarono sistemazione in un sarcofago di epoca romana nell'abbazia benedettina dei santi Pietro e Paolo immediatamente fuori delle mura di Rimini; e qui cominciarono i prodigi e i miracoli operati per l'intercessione del martire.
A dare un prestigio a Viserba contribuì anche nel 1950 il commendatore Enzo Ferrari, fondatore della casa automobilistica di Maranello.
 
Il commendatore si era fatto costruire una villetta ad un piano a ridosso della spiaggia. Viserba vide i piloti della Ferrari andare spesso in visita al commendatore. Questo fino al 1963, poiché dopo il commendatore rimase sempre nel triangolo Modena, Maranello, Fiorano.
A Viserba le iniziative sono continuate e così è stata realizzata la famosissima “Italia in miniatura” con oltre 200 modellini dei monumenti più famosi d'Italia, su di un percorso di 720 metri, percorribile in un paio d'ore.
Gente buona quella di Viserba. Gente che si è fatta da sola con sacrificio, sostituendo pian piano le vecchie case adattate all'accoglienza con alberghi, non alberghi grandi, ma piuttosto pensioni con calore familiare. Gente che ha i segni di un'onda di fede che viene da lontano e che è stata rilanciata di generazione in generazione. Questa onda noi abbiamo voluto rafforzare e rilanciare verso il futuro.

Bibliografia
Autori vari: “Viserba... e Viserba”. Editore Luisè, Faenza, 1993.
Parrocchia Santa Maria: “...Brevissimi cenni storici su Viserba”, 2007.
Giulio Cesare Mengozzi: “San Giuliano e Rimini”, 2004.

venerdì 4 giugno 2010

intervista a Fis-cioun per Ass.IPPOCAMPOVISERBA

Alfredo Grossi? No, è Fis-cioun, “il pescatore” di Viserba
(di Maria Cristina Muccioli – 2 giugno 2010)

Duvè ch’e’ sta Fis-cioun?
Volta so in via Rossini,
a sinéstra po’, la sgonda,
ta t’ trov òna ad cal stradini
ch’la è ziga, che la n’ sfonda.
T’void a destra una capana,
un ch’e’ sbòffa m’un fugoun,
un mòcc’ ad zenta cla sgulvana
e t’si arvat! Ui stà Fis-cioun!

(Dove sta Fischione? Volta su in via Rossini, a sinistra poi, la seconda, ti trovi una di quelle stradine, che è cieca, che non sfonda. Vedi a destra una capanna, uno che sbuffa ad un focone, tanta gente che si abbuffa. E sei arrivato! Ci sta Fischione!)

Le indicazioni per trovare la casa di Fis-cioun erano in un angolino della memoria grazie a questa poesia di Vittorio Valderico Mazzotti ascoltata più volte dalla viva voce dell’autore. Insieme agli altri della troupe dell’Ippocampo (Nerea, Paolo e Loredana) ci siamo presentati puntuali, un sabato pomeriggio di maggio, accolti dalla proverbiale ospitalità di Fisc-cioun: non poteva mancare un bicchiere di vino (ottima albana passita “comprata personalmente a Bertinoro”) accompagnato da cioccolatini e biscotti.
Sì, perché Alfredo Grossi, detto Fis-cioun, a Viserba e non solo è conosciuto per aver fatto sedere alla sua tavola mezzo mondo. Come scrive l’amico Mazzotti nel libretto che gli ha dedicato nel 1996… “Nella sua capanna, a Viserba, per diversi anni sono passate non solo molte persone, ma moltissime personalità altolocate che si sono… leccate i baffi (è proprio il caso di dirlo) divorando e, come dico io, ‘rudénd i dint’, davanti alle specialità preparate dai due coniugi sempre disponibili e simpatici come nessun altro.”
Mazzotti parla di “coniugi”: in effetti fino a poco tempo fa i “Fischioni” erano due. Ines, l’amatissima moglie di Alfredo è scomparsa recentemente. Una metà che manca. Si capisce subito, all’inizio dell’intervista. Fis-cioun, infatti, esordisce mostrando l’album dei ricordi, con le immagini degli oltre sessant’anni passati insieme alla sua Ines.
Un viaggio fotografico che inizia con scatti in bianco e nero di lui ragazzo, appena ventunenne. Poi il viaggio di nozze a Roma, nel 1947. I figli, arrivati presto: Giancarlo, Diego, Luisa… Una foto del 1952 ce lo mostra in Argentina, un’altra sulla giostra a Montevideo.
 “Mi sono imbarcato giovanissimo – racconta Fis-cioun – Per quattordici anni ho girato il mondo, ma fra navigazione sulle grandi rotte e motopescherecci in Adriatico ho fatto ben cinquantadue anni di mare! Guardate le mie braccia. Questi sono i segni dei legamenti rotti per tirare su le reti. Non c’erano mica i verricelli come ora!”
Fis-cioun era fuochista sulle petroliere. I suoi racconti parlano di una vita dura, mesi e mesi lontano dalla famiglia.
 “L’imbarco più lungo durò 33 mesi: partii che mio figlio Giancarlo aveva appena quattro giorni e quando finalmente tornai, quasi tre anni dopo, lui non mi voleva vedere. Era spaventato, non mi conosceva! I contratti erano inizialmente di 18 mesi, poi venivano prorogati. Se non si era nel Nord Europa non si poteva tornare a casa in licenza. Quella volta potei venire a salutare la famiglia perché, finalmente dopo mesi e mesi in Asia, arrivammo in Olanda. Quando morì mio babbo, avevo 23 anni, lo venni a sapere sei mesi dopo. Ero in Giappone e a quei tempi non c’erano i telefonini! Una volta feci un viaggio da Baltimora fino a Odessa, in Russia, per caricare dell’orzo. Proseguii fino a Danzica per un altro carico, poi fino al Giappone e poi ancora fino in Cina per caricare qualche tonnellata di riso. Che vita… Però si guadagnava bene. Ricordo un assegno di 800mila lire, che a quei tempi erano tante, che però in banca, a Viserba, non mi vollero pagare perché era intestato a mia moglie. Spesso erano la Ines con i bambini a venirmi a trovare nei porti dove arrivavo: più di una volta mi sono venuti a salutare a Venezia, Genova, Taranto. Stavo tranquillo, a casa c’era con loro mia suocera Checca. Gran cuoca! Ma la figlia ancora di più! La casa della Checca era sempre aperta, ospitale. Spesso c’era gente sconosciuta a tavola. ‘Ma dai, Fis-cioun – diceva – Non hanno i soldi per fare la spesa, ò fat du strozaprìt in piò, sa vut che sia? (ho fatto due strozzapreti in più, che sarà mai?)’.”
Se la storia di Fis-cioun fosse un musical, si dovrebbe proprio intitolarla “Aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più…”.
Questa caratteristica è diventata proverbiale. Provate, se non ci credete, a fare il suo nome dalle parti di Viserba: Fis-cioun vuol dire tavolate di gente festosa, vuol dire buon pesce, vuol dire spiedi intagliati nel legno di tamerice e infilati verticalmente su di un letto di sabbia, mentre la brace, ingabbiata al centro di questo cerchio magico e profumato, li cuoce senza toccarli.
“Un sistema tipico dei marinai – spiega Fis-cioun – Fra le cuccette c’era un paranzale, col suo portellino (e’ stènt, cioè il boccaporto), che fungeva da cucina. Lì preparavamo i brodetti e le grigliate… Con quello che pescavamo: triglie, calamari, canocchie, sogliole. Allora sì, che ce n’era! Mica come adesso, che con tutte quelle barche enormi hanno spopolato il mare! Il mio fuocone personale, poi, me la sono fatto costruire da Baietta. Ma lo sapete quanto m’è costato? Un milione e duecentomila lire! E’ un pezzo da museo. A dire il vero, ho regalato molti dei miei attrezzi da pescatore al museo di Viserbella, ‘E’ Scajon’. Tanto, io ho smesso di andare a pescare…”
Le pagine dell’album fotografico scorrono. Per ognuna un ricordo, una frase, il nome di un amico…
“Ecco, questa è la mia prima barca da pescatore, la ‘Fidel Franco’. Poi ho avuto la ‘Bruno V.’ e infine, per quindici anni, la ‘Linda’, finalmente col suo bel radar.”
Dopo gli interminabili viaggi transatlantici, infatti, la carriera in mare di Fis-cioun s’è svolta tutta sull’Adriatico, il mare di casa.
“Io stavo a pescare tutta la notte. Facevo tre o quattro calate. Poi la cernita e il rientro in porto. L’Ines era già lì ad aspettarmi, per correre a vendere alla pescheria. Prima in piazza Cavour, poi alla pescheria nuova del mercato coperto. Ho smesso di andare in mare quattordici anni fa. Le più grandi tavolate le abbiamo organizzate in quei tempi. Il pesce era fresco, garantito!  Con gli amici che gestivano l’hotel Morolli, Emilio e la Lella, siamo stati persino in Trentino per la Marcialonga e a Terni. Le rustide per i bagnini di Viserba e dintorni, poi, non si contano!”

Beh, se non s’era capito… dove c’era fumo di rustida di pesce, di sicuro c’era anche Fis-ciuon…
“Una volta ho dato da mangiare anche a Corrado, il noto presentatore. Sarà stato il 1950/51. Che cena! A dire il vero Corrado mi fece un po’ incazz… perché, nonostante tutto quel ben di dio che avevo preparato, mi disse che avrebbe gradito del coniglio!”

Per concludere le storie in punta di spiedino, Fis-cioun si raccomanda: “Col pesce, si beve solo vino Sangiovese! Il bianco una volta lo davano a chi era ricoverato in ospedale. Io lo uso solo per cucinare i sughi.”

Dopo aver annotato ricette e consigli da veri buongustai, ora invitiamo il nostro amico Fis-cioun a sfogliare l’album dei ricordi andando un po’ all’indietro. Siamo curiosi di sapere qualcosa in più dell’infanzia, dell’adolescenza, del passaggio della guerra, di come si viveva a Viserba in quei tempi.

“Beh, potrei iniziare spiegandovi il perché del mio soprannome. Non è quello della famiglia, infatti i Grossi sono detti Babèn. Quand’ero un bambino abitavo qui vicino, in via Rossini, Avrò avuto sugli otto anni. GLi anziani mi facevano paura dicendo che in queste strade ‘si vedeva’ e ‘si sentiva’ (cioè che c’erano degli spiriti, delle streghe). Alòura mè, par fèm curàg, a ciudèva i occ e a fis-céva (allora io, per farmi coraggio, chiudevo gli occhi e fischiavo). Da quella volta mi hanno sempre chiamato Fis-cioun (fischione). Eravamo otto fratelli. La mamma morì quando io avevo tre anni e c’erano pure un fratello e una sorella più piccoli di me. Ci fece da mamma una delle sorelle grandi. Avìma ‘na miséria c’as magnéma agli urèci (avevamo una miseria, che ci mangiavamo le orecchie). Poi il babbo si risposò con una donna che aveva quattro figli. Sapete, quando si sposavano due vedovi, si faceva una ‘serenata’, per deriderli un po’. Era una tradizione della Romagna. Siccome mio fratello ed io partecipammo a questa cosa, il babbo non la prese molto bene e ci riempì di botte. Com’era Viserba? Beh, intanto c’erano un sacco di locali da ballo, il Kursaal, e tante ville di professori e gente importante. La spiaggia era bellissima: sulla linea del mare c’era solo la pensione Adriatica e qualche villa. Si, proprio come in questa cartolina: dalla spiaggia partivano quattro dighe in verticale, dalle quale noi, ragazzi, ci tuffavamo in mare. Bagnini? C’era Bisugnìn (Pino), fratello di mia suocera. E le tende in tela, coi picchetti piantati sulla spiaggia, che erano da spostare a seconda di come girava il sole. Ai tempi della guerra i tedeschi mi catturarono, con mio babbo e  mio fratello, e ci rinchiusero nella Corderia. Riuscii a scappare attraverso uno strettissimo cunicolo sotterraneo che dalla fabbrica sboccava nella Fossa dei Mulini. Pieno di ferite e sanguinante, ma salvo. Rimasi nascosto per quattordici giorni sopra un albero, a Viserbella, e mia sorella mi mandava qualcosa da mangiare con un cestino legato a una corda. Avevo dato un pugno a un tedesco: guai, se mi avessero trovato! La pensione Adriatica venne bombardata. Alla fine della guerra nelle cantine trovarono quattro tedeschi morti!”.

Ma i ricordi, per fortuna, non sono solo legati a guerra e miseria.

Fis-cioun alleggerisce il suo narrare con un’immagine che ci appare come proiettata su di un grande schermo pieno di luce e di colori.
“I delfini! Quanti delfini passavano al largo! Anche dalla battigia se ne potevano vedere branchi interi. Non erano molto amati dai pescatori, perché distruggevano le reti. Tra l’altro, non so per quale motivo, negli anni Trenta una legge promulgata da Mussolini dava cinquecento lire a chi catturava un delfino femmina. Comunque, per dirvi che spettacolo era la nostra Viserba, in quei tempi uno dei passatempi preferiti dai villeggianti era quello di assistere, anche per una mezza giornata, al passaggio dei delfini vicino alla costa, allo spettacolo dei salti e degli spruzzi che questi producevano nell’acqua limpida!”

Vogliamo finire in rima, così come abbiamo iniziato?
Per chi pensava di trovare Fis-cioun impreparato (in tutti i sensi), ecco la risposta.

 “Sapete – dice strizzando l’occhio con fare birichino – Da tempo ho già scritto la frase che sarà messa sulla mia tomba.”

Qui giace Grossi Alfredo detto Fis-cioun

U’n a né albérgh e né pensioun
Ma se tòt a vléi,
avnéi a magnè ma chèsa sù.
Enca sa’ m magn e’ mi barchèt,
basta cum rèsta e’ mi casèt.

(Non ha né alberghi, né pensioni. Ma se tutti volete, venite a mangiare a casa sua. Anche se mi mangio il mio barchetto, basta che mi resti la mia casetta).


Per la cronaca: essendo nato il 6 giugno 1925, in questi giorni Alfredo compie la bellezza di 85 anni. Auguri da tutti gli amici dell’Ippocampo, Fis-ciuon!