La maestra Savoia nei ricordi degli alunni di un tempo. I ricordi di Laura Botteghi
A Viserba tutti ricordano la scuola di via Donizetti, la palazzina a due piani dove in quattro aule erano ospitati i bambini delle scuole elementari. Le maestre erano quattro: Savoia, Mazzoni di Viserbella, Bianchi e Albertina Montebelli che venivano da Rimini.
Poi c’era la maestra Perdicchi che insegnava in via Mazzini nell’odierna sede del Quartiere.
I ricordi di due scolare del tempo, Marisa e Laura, sono ben chiari.
Laura è della classe 1923 e racconta: con la maestra Savoia ho frequentato le cinque classi elementari, classi miste e numerose. Erano gli anni di povertà, quelli del 1930. La maestra era un’autorità. Quando entravamo in classe sapevamo come comportarci: tacere e “ubbidire come agnelli”.
Era un’insegnante stupenda, paziente e brava. Seguiva molto i bambini e capiva le necessità di tutti. Abbiamo imparato a scrivere riempiendo quaderni di aste, di numeri, di esercizi di bella scrittura. La giornata era piena: al pomeriggio una volta abbiamo recitato in una commedia. Il mio ricordo è riconoscente. Certamente avevamo soggezione di lei, non osavamo ribattere alle sue osservazioni come fanno i ragazzi di oggi. Obbedivamo tacendo.
Se si sbagliava, era facile essere messi dietro alla lavagna o colpiti sulle mani con una bacchetta che la maestra teneva sulla cattedra.
Le mie scuole sono finite con la quinta elementare, ma le conoscenze acquisite non sono inferiori a quelle che i ragazzi di terza media oggi conseguono.
Eravamo sette fratelli, di cui due maschi. Mio padre decise che la formazione scolastica mia e delle mie sorelle era sufficiente. Proseguire gli studi era una prerogativa dei maschi (i miei fratelli sono diventati ragionieri). Talvolta la maestra riteneva che qualche scolara era dotata di buona intelligenza e consigliava di proseguire gli studi nelle scuole di Rimini, ma si arrendeva davanti al pregiudizio e l’ignoranza di molte famiglie: per le donne lo studio non era necessario e andare a studiare a Rimini significava “diventare delle poco di buono”!
Il destino delle femmine era, perciò, diventare donne di casa. Al massimo si andava a imparare a cucire in quel laboratorio di sarta dove non restava, anche qui, che stare zitte, lavorare e… ubbidire!
articolo a cura di Donata e Maria Cristina, per associazione L’Ippocampo Viserba