mercoledì 28 luglio 2010

SPIRITI DI OLIMPIA di Paritani
A Gorizia presso i Musei Provinciali dal 15 luglio al 29 agosto
Marzia per L’Ippocampo
Segnalo a tutti i lettori del Blog dell’Ippocampo questa notizia, per due motivi: il primo, è che i fotografi Paritani sono due miei amici carissimi e due grandiosi professionisti dell’immagine; il secondo, è che Spiriti di Olimpia, che consiglio di andare a visitare, non solo a Gorizia, ma anche sul sito ufficiale www.fotoparitani.it/olimpia.htm è un servizio fotografico straordinario realizzato all’interno della Corderia di Viserba.
“Nell’ambito dell’edizione 2010 del Premio Sergio Amidei, dal 15 luglio al 29 agosto, si svolgerà a Gorizia, presso i Musei Provinciali, la mostra fotografica “Spiriti di Olimpia” dei fotografi Paritani. Il duo Paritani – Roberto Pari e Sergio Tani - non ha conosciuto il critico Ugo Casiraghi, ma la mostra si pone curiosamente al punto di incontro fra la sezione Film and Reality: Naziskino – Ugo Casiraghi (che ospita il celebre documentario in due parti Olympia di Leni Riefenstahl) e l'altra grande passione di Casiraghi: lo sport.
Ed ecco il collegamento con i Paritani che per anni hanno giocato e fotografato con ironia protagonisti di varie specialità sportive, dove gli  atleti si muovono in un paesaggio postindustriale, immersi in scenari nei quali dominano grandi ruote d'acciaio – un tempo cuori pulsanti di una corderia – scheletri metallici di frantoi per inerti, ruderi di fabbriche dai cui muri sbrecciati emergono, come nervi e ossa di un corpo ormai in decomposizione, barre d'acciaio usate per il cemento armato, che possono pure fare le veci di liane per pareti da scalare.
Nel gesto stilizzato degli atleti gli autori non mirano tanto a rappresentare l'agonismo, la lotta, ma rivelano piuttosto la ricerca della natura arcaica e profonda dello sport, quella natura che accomuna le movenze della pratica agonistica all'armonia della danza. Dai loro scatti trapela un “occhio fotografico” educato e colto, ricco di citazioni e omaggi agli amati fotografi Horst, Mapplethorpe e Luxardo, ma con un originale e fanciullesco piacere per il gioco e per la sorpresa.

martedì 27 luglio 2010

Due brevi aneddoti viserbesi
Dalla memoria di Carlo Alberto Bianchi
Marzia Mecozzi per L’Ippocampo

Di viserbesi del passato, che hanno colpito la fantasia di scrittore di Carlo Alberto Bianchi, ce ne sono un paio dei quali, con magistrale tocco e raffinata attitudine alla penna, ci descrive aspetto, movenze, peculiarità.
Prima di affrontare la storia dell’uomo che ha pettinato le signore più nobili e famose negli anni in cui le ville della prima linea (cioè quelle affacciate direttamente sulla spiaggia) ospitavano le Famiglie più in vista del Bel Paese, ecco due brevi ed inedite storie narrate dalla viva voce del coiffeur di Viserba, alias autore del bel libro autobiografico “Viserba, e un suo paesano che si racconta”.

L’uomo dalla pipa in bocca.
“Era sempre chino sulla riva del mare, impegnato a rammendare le reti… Si chiamava Neri; il nome di battesimo non lo ricordo più… Eravamo soliti vederlo aggirarsi solitario col berretto da marinaio calato sugli occhi e l’inseparabile pipa in bocca. Neri aveva una caratteristica precisa, nota a tutti, anche ai forestieri: era un famelico mangiatore e, cosa stupefacente, era magro come un chiodo. Vederlo mangiare, direttamente dalla pirofila, era uno spasso. Suo figlio Osvaldo aveva ereditato la stessa attitudine al cibo. Si racconta che un giorno, uscendo di casa, sua moglie si fosse raccomandata con entrambi: - Ho messo su i fagioli, all’ora di pranzo, buttate giù la pasta! – A quel tempo le famiglie ricevevano la Carta Annonaria, una tessera che dava diritto alla provvista di alcuni alimenti e beni di prima necessità, come ad esempio il sapone, per tutto il mese. Beh, Neri e suo figlio Osvaldo, quel giorno buttarono giù la pasta, come ordinato dalla donna di casa e, per non rischiare di patire la fame, buttarono in pentola la pasta di tutto il mese!”

Il primo capostazione di Viserba.
“Il Signor Lodi veniva da Bologna e sembra che, quando arrivò a Viserba, la prima cosa che esclamò, guardandosi attorno, sia stata: - Ma dov’è ‘sta Viserba?!- Erano i primi anni del Novecento e il paese attorno alla ferrovia era quasi inesistente. Lodi, che sarebbe stato il capostazione della comunità per tanti anni, si era comprato una casa in via Pedrieri, dove visse con la sua famiglia fino alla fine dei suoi giorni. Suo figlio, pur lavorando fuori, ogni estate tornava per trascorrere qui le sue vacanze, era un giovane appassionato di mare. Un giorno, sul finire degli anni Venti successe la tragedia. L’uomo era uscito in barca con il figlioletto di sette anni. Forse ebbe un malore… Fatto sta che sparì in mare e il piccolo rimase solo sulla barca finché i soccorritori non lo trovarono. Il corpo del padre invece fu rinvenuto solo qualche giorno più tardi. Quel bimbo oggi è un noto avvocato del foro bolognese e la storia me l’ha raccontata di persona.”

Di questi piccoli aneddoti è ricca la memoria di Carlo Alberto Bianchi che, nella sera d’estate, seduto in Piazza Pascoli, ci ha regalato un’ora di parole e immagini che presto andranno ad arricchire la nostra raccolta di storie.

domenica 18 luglio 2010

Marzia Mecozzi per L’Ippocampo

Mezzo secolo di ‘bagni’.
Storia di una vacanza lunga una vita.


Questa settimana, il salotto del martedì dell’Ippocampo ha ospitato gli amici di Torino: Mattea (76 anni) e Enrico (80) Chiavarino. Bionda platino e sbarazzina lei, più pacato lui, ma entrambi piacevolmente complici nel gioco della memoria che gli abbiamo proposto.
Bagnanti a Viserbella prima e a Viserba poi, dal 1956, considerano questo luogo molto più che una seconda casa: piena di amici e, un tempo, anche ricca di momenti indimenticabili. Il desiderio di ricordare è contagioso, soprattutto in coloro che hanno vissuto con gioia l’epoca più vistosa e felice della Regina delle Acque, al tempo in cui la musica, il ballo e l’intrattenimento regnavano sovrani e accompagnavano, al ritmo accattivante dello swing, le ore liete e licenziose della vacanza al mare.
“La prima volta che arrivammo al mare, fu in treno: Torino-Rimini. – ricorda Mattea - Dalla stazione di Rimini, il taxi che ci portò fino a Viserbella, all’Albergo Ostenda, era una carrozzella trainata dai cavalli. Era l’estate del ’56. Per tre anni siamo tornati nello stesso albergo, dove restavamo 15/20 giorni. Quando ci siamo comprati l’auto, - prosegue Enrico - una Fiat 600, abbiamo iniziato a fare il viaggio di notte: partivamo da Torino la sera tardi e arrivavamo a destinazione verso il mezzogiorno del giorno seguente.”
Mattea ricorda ed elenca uno a uno i luoghi dei suoi soggiorni da turista.
“Dopo l’Ostenda, per diversi anni siamo scesi all’Hotel Miami e quando i gestori hanno acquistato la Pensione Ala, a Viserba, li abbiamo seguiti. Dopo l’Ala è stata la volta del Byron, dai signori Pinzi e poi, per Vent’anni siamo stati ospiti dalla Rolanda. Negli ultimi anni siamo stati dai signori Fiorini, all’Hotel Riviera, molto curato ed elegante. Poi, quando siamo andati in pensione, abbiamo smesso di essere turisti e siamo diventati, per metà, viserbesi: infatti abbiamo preso in affitto una casetta dove trascorriamo l’intera estate. Non appena arriva il caldo… eccoci qua nella nostra casa al mare!”
Cinquataquattro estati. E molti cambiamenti.
“Soprattutto nello spirito del luogo. – riconosce Mattea con un pizzico di amarezza – Questa Viserba non è più quella che ci ha fatto innamorare di lei… quella che vantava feste, balli, locali, musica, personaggi vip, un luogo come oggi si sente dire di Milano Marittima, di Riccione… Viserba era proprio così. Qui, giorno e notte, c’era una gran vita.”
Il loro affetto per questa cittadina è immutato, e lo hanno tramandato alla figlia e alla nipotina, che li raggiungono ogni anno ad agosto, ma quanta nostalgia di quei giorni…
“Qualche anno fa, proprio qui, in Piazza Pascoli, - racconta Enrico - è stata organizzata una festa a tema: il tema era “una serata alla Villa dei Pini”, quel bellissimo locale che andava così di moda… e l’allestimento è stato curato nel dettaglio, con tanto di camerieri, tavolini, orchestra… Ci è sembrato di rivivere la magia di quelle estati, quando Gorni Kramer dirigeva la sua orchestra, Vittorio Corcelli cantava… e c’era Mina.”
E non c’era soltanto la notte… anche le proposte di spiaggia avevano un certo appeal: per esempio Mattea e Enrico ricordano la tradizionale gara delle sculture di sabbia, che la loro figlia, un anno vinse con una rappresentazione dedicata a Collodi; un evento ormai archiviato da tempo, ma che ha dato il là, in questi ultimi anni ai presepi di sabbia che a Rimini e a Torre Pedrera richiamano ad ogni Natale migliaia di visitatori da tutta Italia. Forse sarebbe il caso di pensare ad un revival?

domenica 11 luglio 2010

"Bar Dancing Sacramora"

Il Bar Dancing Sacramora nei ricordi di Malvina Tamburini
(intervistata in giugno 2010)

“Avevamo messo molti tavolini attorno al bar e avevamo uno dei primi televisori. Quando trasmettevano  ‘Lascia o raddoppia’ la gente di Viserba veniva da noi portandosi le sedie da casa!”

La signora Malvina Tamburini ricorda con un pizzico di nostalgia il periodo in cui gestiva il “Bar Dancing Sacramora”, all’interno del parco creato attorno alla pozza da cui sgorgava la famosa sorgente di acqua cristallina.

“Nel ‘49/50 la sorgente, anche se già famosa e frequentata, era un ‘coppo’ nel terreno che, allora, era di proprietà della famiglia Sarti (commercianti di stoffe in piazza Tre Martiri, dove oggi c’è il negozio Max Mara). In quegli anni i Sarti diedero in affitto questo appezzamento alla mia famiglia, che arrivava da Bellariva, come orto. Poco dopo il terreno venne acquistato da Cottarelli, un ricco medico milanese  che aveva un grande albergo a Riccione. Lui e sua moglie nel 1954 tennero a battesimo il mio primogenito, Paolo. Grande spirito imprenditoriale, il suo! Fu lui, vedendo quanta gente veniva a berla, ad avere l’idea di sfruttare l’acqua della Sacramora per l’imbottigliamento e il successivo commercio. Già a quei tempi pensava anche alla trasformazione di Viserba in stazione termale, ma le sue idee non vennero mai condivise dalle pubbliche amministrazioni a cui lui presentava i suoi progetti e neppure dai proprietari dei terreni che avrebbe voluto acquistare per realizzare il suo sogno. Il primo stabilimento aveva come unica operaia mia sorella Maria, mentre mio padre, già affittuario come ortolano, divenne il custode-factotum. C’era anche la Giuseppina Sarti, appena diciottenne, che faceva la contabile.”

L’industria dell’imbottigliamento ebbe successo, tanto che pochi anni dopo, durante l’estate, vi lavoravano anche quindici persone.

“Cottarelli sostenne e incentivò la costruzione di un bar con annessa pista da ballo, che mi concesse poi in gestione - continua Malvina - A dire il vero lavorammo di badile io, mia sorella e una cameriera che avevo assunto, proveniente dalle campagne ravennati. Da sole abbiamo riempito con la terra i due fossi che c’erano (ci si pescavano le sanguisughe, che vendevamo alle farmacie). Poi abbiamo costruito un chiosco, la pista da ballo, la fontana rotonda sotto i salici piangenti. Un posto molto bello!”
 
Erano gli anni in cui spopolavano le orchestre, si ballava tutte le sere, la gente veniva appositamente a Viserba anche da lontano.

“Avevamo due o tre camerieri. Non erano stipendiati, ma si tenevano le mance. Con questo sistema guadagnavano molto bene! Un’estate venne persino Adriano Celentano a cantare alla Sacramora! Il bar lo aprivamo molto presto, al mattino, perché c’era molta gente che veniva da Rimini per bere l’acqua. Ricordo i festeggiamenti del Millenario, nel 1957, con tantissime personalità. Venne inaugurato il bassorilievo e il dottor Cottarelli firmò pubblicamente, applaudito da tutti, un documento in cui si impegnava a permettere ai cittadini riminesi di attingere l’acqua della Sacramora nonostante lui avesse avuto la concessione di sfruttamento minerario per l’imbottigliamento. Poco dopo Cottarelli vendette ai Savioli, che trasferirono lo stabilimento più su, verso monte. Il bar l’ho gestito fino al 1958. Dopo di me l’ha avuto un altro gestore per una stagione. Poi basta. Un’avventura conclusa. Ci sono diverse cartoline che testimoniano quel periodo: le avevamo fatte stampare io e mio marito Guido. La didascalia recita: ‘Viserba, Fonte Romana Sacramora’. Sì, direi proprio che non salvaguardando e valorizzando questo luogo come meritava e come Cottarelli, nella sua lungimiranza, aveva sperato, Viserba ha perso una grande occasione!”

martedì 6 luglio 2010

La maestra Ada Savoia

Incontro con Alba Biasini, figlia della maestra Ada Savoia
Marzia Mecozzi per L’Ippocampo.

All’ombra dei pini secolari, la pianta quadrangolare dell’antico casale, orientata nella direzione del sole e non, come le altre case di via G.Donizetti, parallela alla ferrovia, rivela l’origine della struttura, antecedente alla costruzione della linea ferroviaria. La Villa, che, come spiega l’architetto Pierluigi Sammarini, dovrebbe avere circa duecento anni, è proprietà e dimora estiva di Alba (Bibi) Biasini, che riceve il team dell’Ippocampo nel fresco del suo giardino, uno dei più grandi di Viserba, ai piedi di quella facciata bianca dalle persiane verdi coi balconcini dai fregi preziosi e ferro battuto, avvolta fino a non troppo tempo fa dai racemi di un’edera rampicante che la rendeva – se possibile- ancor più fascinosa e suggestiva.
L’incontro con Bibi (1924), elegante signora di origini forlivesi, nella sua casa di Viserba, è teso a farsi raccontare la storia di sua madre, la maestra Ada Savoia, una delle insegnanti ‘storiche’ di una Viserba agli albori del XX° secolo. Negli anni del Ventennio, la politica fascista aveva avuto grande interesse per la scolarizzazione e per la lotta all’analfabetismo, le classi elementari furono istituite ovunque, fin nei più piccoli centri urbani, tale era Viserba, in quella data. Nel ’23 c’era stata la riforma della scuola, quella definita da Mussolini "la più fascista delle riforme", opera del Ministro dell'Istruzione, il filosofo neoidealista Giovanni Gentile, che rimase sostanzialmente inalterata anche dopo l'avvento della Repubblica. È in questo contesto che si colloca la vita e l’esperienza di una insegnante e della sua famiglia.
Alba è nata nel 1924 e, come racconta, ha frequentato le prime due classi elementari a Viserba con sua madre per maestra. Dunque nel Trenta, Alba ha sei anni e frequenta la prima classe, presso la scuola Edmondo De Amicis di Viserba.
La Scuola, oggi ristrutturata villa padronale, si trova proprio di fronte all’antico cancello di villa Savoia-Biasini, e la maestra che veniva da Forlì per allontanarsi dal rigore della propria famiglia e che aveva insegnato per qualche tempo a Bellaria prima di raggiungere Viserba, si era a tal punto innamorata di questo luogo, silenzioso e riservato, che non lo aveva abbandonato più. Per tanti anni Ada Savoia ha insegnato ai bambini di Viserba, diventando per molti un punto di riferimento, non soltanto didattico, ma anche umano.
Nell’articolo, che presto metteremo on line, vedremo perché…

venerdì 2 luglio 2010

Ippocampoviserba in piazza



La memoria in Piazza Pascoli
Di Marzia Mcozzi per L’Ippocampo

La piazza è il luogo dell’incontro, dello scambio, delle chiacchiere, dell’amicizia. E con l’estate eccoci finalmente in piazza.
Lo stand dell’Ippocampo, è stato ampliato e strutturato in vista del ruolo ‘istituzionale’ dell’Associazione nell’ambito del programma per l’estate 2010. Come si può vedere dalle immagini, due straordinare gigantografie dominano la scena. Una, rappresenta la piazza Pascoli com’era… l’altra, è Viserba secondo l’Ippocampo (opera grafica di Loredana Cramarossa). Questa immagine è diventata anche una cartolina, che ripropone le linee scelte dall’Associazione per esprimere l’identità del luogo. Gadget molto apprezzato, sia dai turisti che dai nostri concittadini, viene donata a promozione non soltanto di Viserba, ma del lavoro che stiamo facendo, perché tutti coloro che desiderano far parte documentata della storia di Viserba (e dintorni) sappiano chi siamo e dove trovarci.
Di lato allo stand, c’è un piccolo salotto, pensato per chiunque abbia qualcosa da raccontare.
La serata è vivace, c’è tanto via vai e curiosità attorno al Laboratorio Urbano della  Memoria, fra i tantissimi che si fermano, chiedono e partecipano, si riconoscono i volti noti degli habitué, indigeni e forestieri. Il gruppo dell’Ippocampo, capitanato dal Presidente Pierluigi Sammarini, è al lavoro, ciascuno con il suo ruolo. Maria Cristina Muccioli prende nota, per la sua ricerca, di tutti i soprannomi locali, che presto saranno resi noti e pubblicati su queste pagine.
Io e Nerea Gasperoni raccogliamo storie… Paolo Catena scatta le foto.
Il primo ospite del nostro salotto, è ‘Primo’ di nome e di fatto.
Rocchi Primo (appunto) detto Nino, classe 1922. Dalla storia di Primo, che andrà ad arricchire il nostro patrimonio esclusivo di testimonianze, qui riassumo qualche suggestiva memoria di guerra, dal diario segreto di un autentico partigiano.
“Tornai a Viserba, la mia terra d’origine, dopo gli anni trascorsi a lavorare prima a Milano, poi a Napoli, risalendo insieme al fronte. Già a Napoli ero stato fra i gruppi antifascisti che avevano liberato la città dal dominio nazista ancor prima che gli alleati arrivassero… E quando la guerra parve sul punto di finire intrapresi un turbolento viaggio di ritorno a casa; un po’ a piedi, un po’ con un convoglio che mi portò fino a Roma… ricordo che avevo una gamba ferita piuttosto gravemente. (…) Mi ero fatto le quattro giornate di Napoli, ero avvezzo alla vita sotterranea, che anche qui a Viserba presi a condurre. Stavamo sempre nascosti, non sapevamo neppure il nome degli altri del gruppo, perché se i tedeschi avessero preso qualcuno di noi, non saremmo stati, neanche volendo, in grado di rivelare le identità dei compagni… Stavamo nascosti nella vecchia corderia, dentro un enorme pagliaio dal quale potevamo veder fuori, cosa stesse accadendo…”
E ancora: “Qua a Viserba andavano e venivano anche uomini politici e militari importanti. Diversi Generali avevano qui le loro ville estive. Fra questi c’era il Generale Malavasi, romano, capo di stato maggiore dell’esercito italiano. Aveva firmato con Badoglio la resa dell’Italia. Insieme alla moglie, la Contessa De Laurenti (il padre era un famoso medico), si era rifugiato qua, nella sua villa fra Viserba e Viserbella, all’angolo di via Vincenzo Busignani. I tedeschi lo cercavano, lui si era nascosto nelle cantine della villa, c’erano anche altre otto, dieci persone insieme a loro… gente di qui, del posto. Nessuno ha parlato, tutti hanno mantenuto il segreto, c’era molta solidarietà. Anche i forestieri, che passavano qui l’estate, erano di noi.”
Questo è un piccolo stralcio della storia raccolta nel nostro salotto, nel primo martedì di piazza, terminato all’Angolo del Caffè ospiti dell’amico Gianni, davanti ad una bottiglia di buon vino bianco ‘ghiacciato’ al punto giusto.