giovedì 21 aprile 2011

IL VENERDI' SANTO

" Urazion de Vendri sent
cn'a nè fin, nè cominciament"


La bisnonna annunciava così la lunga orazione sulla passione di Gesù.
E continuava:

"Urazion de Vendri Sent,
la Madona la fa un gran pient,
un gran pient e un gran dolor,
la passion de nost Signor."

Era il Venerdì Santo, il giorno del silenzio e della preghiera. Le campane, legate, tacevano.
I giochi in strada erano interrotti. Si andava in Chiesa a visitare i Sepolcri. Non c'erano fiori, nè ornamenti; statue e dipinti erano velati di drappi viola. Attorno all'altare erano disposti i vasi con il grano verde pallido, fragile perchè cresciuto al buio. Era l'unico verde ammesso in Chiesa, simbolo della morte oscura che sarebbe tornata alla luce della vita.
Si girava in ginocchio intorno al grande Crocefisso deposto in terra, nell'abside . Alla fine le ginocchia dolevano: si faceva penitenza. Si dovevano recitare trentatrè paternoster, uno per ogni anno della vita di Gesù, ma si perdeva il conto e bisognava ricominciare da capo.
Nelle case, a capo dei letti, erano appesi i rametti d'ulivo benedetto nella Domenica delle Palme. Ce n'erano anche nelle stalle e disposte a croce all'inizio dell'orto per proteggere animali e raccolto. Alcuni rami erano stati deposti devotamente nel cassettone insieme alle candele benedette della Candelora. In caso di temporale, le candeline e le foglie d'ulivo avrebbero arso per calmare la furia del vento e della grandine.
Il Venerdì si digiunava, ossia si mangiava ancor meno degli altri giorni. Ci si accontentava di minestra matta ( senza uova) cotta nell'acqua e condita con un "cincinin" d'olio o di conserva. Il pomeriggio si andava a Rimini a visitare i Sepolcri, o in Chiesa per la funzione.

Croce senta, croce degna,
Dii mi schempa, di mi tenga
Dii mi schempa d'ogni mis
Dii mi porti in Paradis


Arrivava il sabato, il giorno magro dell'attesa. I bambini andavano a far benedire le uova in cestini guarniti dai tovaglioli più belli. Più tardi tornavano ancora vicino alla chiesa, sedendosi sui gradini, silenziosi, in attesa che scigliessero le campane.
A mezzogiorno le campane si mettevano a squillare a festa. Al loro suono allegro facevano eco altri suoni gioiosi di campane lontane; l'aria tiepida di Aprile ne vibrava. Al primo scampanio, già tutti correvano alle fontane a bagnarsi gli occhi. Volevano significare le ultime lacrime versate per Cristo morto, ed essendo benedette, avrebbero preservato dalle malattie agli occhi. La fontana della piazza era affollata da gente che chiaccherava, allegra. I bambini giravano attorno a stormi gioiosi, come rondini.
Si tornava al lavoro con maggiore energia. Si accendevano i forni e si cuocevano le pagnotte e le ciambelle. Che aromi nell'aria! Le uova benedette bollivano sul fuoco. Si sacrificava una gallina del pollaio per il brodo dei passatelli di Pasqua. Le bambine andavano alla fossa dei mulini a raccogliere viole. Ne facevano mazzetti che ornavano con un centrino di carta ritagliata a merli da disporre dinanzi alle immagini benedette e da donare alle mamme e alle zie. Altri andavano in campagna, lungo i rii, per raccogliere narcisi e pasqualotti. I mazzi odorosi avrebbero profumato la Chiesa e le tavole di Pasqua.
Il sabato era tutto un indaffararsi, un via vai, un chiaccherio che invadeva il paese di serenità.
Si mettevano all'aria i vestiti preparati per la festa dell'indomani, si davano gli ultimi punti al vestito nuovo; si tiravano fuori dalle casse le tovaglie più belle, si stirava, si spazzolava, si lucidava.
Era ancora Vigilia, si cenava con erbe amare ( radicchi, cicorie) condite con molto aceto e l'immancabile piada.
Dopo cena , si pregava


L'urazion dè Paradis,
chi la sa e chi la dis
chi la sa e chi la chènta
us guadagna gloria sènta.



L'indomani la mamma destava i bambini: "Sveglia! E' festa di domenica, la Pasqua del Signore" Li attendeva la colazione con la ciambella e l'uovo benedetto. Si prendeva l'uovo con devozione, si baciava, poi si recitava il Paternoster mentre si "sbucciava" con cura.
Al "cozli" venivano attentamente raccolte in un piattino perchè non si disperdessero che dovevano pio essere bruciate nel camino. Si beveva il caffelatte amaro con la pagnotta dolce con l'uvetta e l'anice.
Gli uomini preferivano il salame e l'albana. Ci si vestiva a festa. Se possibile ognuno indossava qualcosa di nuovo: una camicia, un nastro, una maglia.
Tutti in ordine e lustri si andava alla Messa solenne.

Il Lunedì era il giorno della merenda all'aria aperta. La gioventù sciamava alle "Grazie" sul colle di Covignano. Le ragazze con la camicette nuove, i ragazzi "se' sulein" si davano arie e si lanciavano occhiatine.
Le famiglie preferivano andare a spiaggia e godersi il primo sole. I bambini giocavano alla "rozla" sulle dune con le uova sode. I più piccoli rincorrevano i gabbiani. Le rondini stridevano rincorrendosi. La maretta cantava la canzone della primavera.

I giorni d'Aprile scorrevano indaffarati. Le bandierine delle nasse garrivano tra le onde verdeazurre. SAltarelli e cogolli tendevano le loro trappole ai pesci. Lontano delfini giocosi facevano acrobazie.
Negli orti si zappava, seminava, piantava. Si raccoglievano i porri ed i primi ravanelli. Si potavano siepi e sempreverdi. Si mettevano i tutori a piselli e fave.
Sulle siepi teorie di panni erano stesi ad asciugare.
Dalle campagne i contadini giungevano alla spiaggia con i loro carri carichi di panni, donne e bambini. Le donne lavavano i grossi lenzuoli nelle fosse e li stendevano sulle dune. I buoi sonnecchiavano vicino all'acqua, i bambini si spruzzavano ridendo.
Fiori sbocciavano ovunque. Vicino ai muri profumavano le serenelle. Teorie di rigidi Iris azzurri e viola contornavano i vialetti. I fiori degli albicocchi sembravano di porcellana. Andando oltre la ferrovia, affacciandosi sugli orti, Aprile offriva uno spettacolo poetico. Lungo la recinzione della strada centinaia di peri, allevati con arte a spalliera, erano coperti del bianco di infiniti mazzi profumati. Ai loro piedi, lungo la scarpata, fiorivano latte di gallina, margherite e colichini formavano una cascata lattea. Robinie odorose lasciavano al vento i loro petali.
Rosei fiori di pesco sottolineavano l'angolo di un'aia. La pioggia di Aprile accendeva riflessi iridescenti sui verdi degli orti, esaltava i colori, rifletteva il mutevole cielo primaverile.

Emanuela Botteghi da 'Un cassetto in fondo al cuore ' di Tecla Botteghi
per l'Associazione Ippocampo Viserba

venerdì 1 aprile 2011

la villetta del "DRAKE" E.Ferrari

A Viserbella l’ultimo rifugio felice
La villetta del Drake, il ricordo di chi lo conobbe.
(articolo pubblicato su “Il Resto del Carlino” del 14 febbraio 2003

E’ la casa in cui Enzo Ferrari e l’amato figlio Dino trascorsero gli ultimi giorni di vacanza. Quella casa c’è ancora. In via Palos a Viserbella, anche se del Drake non conserva alcun segno.
“L’abbiamo comprata nel 1991 dagli eredi Ferrari – spiega il proprietario Alberto Pesaresi. Purtroppo veniva da un lungo periodo di abbandono. Per aprire la porta bastava una spinta ed era stata saccheggiata a più riprese. Mi hanno sempre raccontato di una mattonella col simbolo del cavallino. Evidentemente hanno portato via anche quella… peccato”. Se Alberto Pesaresi vive nella casa del Drake, Bruno Militi , che vive a Viserbella in una casa piena di coppe, targhe e oggetti d’arte, ebbe l’onore di condividere quei giorni con Enzo e Dino Ferrari. Militi, progettista di aerei, col suo lavoro incessante in giardino attirò la curiosità del figlio di Ferrari, che sbirciava dalla siepe la nascita di idrovolanti, canoe, motoscafi… “Dino veniva in vacanza a Viserbella – raccontò al Carlino Militi qualche anno fa – a cento metri da casa mia. Parlavamo di elica, portanza, resistenza all’avanzamento. Alla fine diventammo amici e suo padre chiese di vedermi. Che emozione: ebbi conferma delle mie supposizioni. Si trattava proprio del Drake che veniva a Viserbella in incognito per evitare i perditempo. Varcai quel cancello con grande emozione. La madre di Dino, Laura, mi invitò poi a passare una settimana a Modena. Un’ospitalità che si ripeté ogni anno. Da loro conobbi Nuvolari, Ascari, Fangio, il principe Byra, cliente arabo della Ferrari.”
Dopo la morte di Dino i Ferrari tornarono poche volte a Viserbella. “Una volta Enzo – Dino era già scomparso- vide decollare il mio secondo aereo e mi invitò a casa. Ci abbracciammo. Non lo vedevo da anni. Mi indicò i possibili sviluppi del mio aereo e si complimentò con me. Mi propose anche di trasferirmi a Modena. “Venga con noi, abbiamo bisogno di un esperto in aerodinamica”. Rimasi però a casa. Molti anni dopo, come insegnante, gli chiesi di portare i miei allievi a Maranello. Conservo ancora la lettera con la quale mi scriveva che sarei stato il benvenuto.”

M.Cristina Muccioli per ass.IPPOCAMPOVISERBA

lunedì 21 marzo 2011

18 marzo la focheraccia di S.Giuseppe"

18 marzo 2011.. LA FOCHERACCIA di S.Giuseppe a Viserba

Il mare d'inverno,direbbe una canzone,con tutto il calore ed i mille colori di una festa estiva:
era una nuova Viserba quella che ieri sera ha riempito Piazza Pascoli e la via Dati nel tratto che va da via Polazzi alla Via Roma, viserbesi doc, nuovi viserbesi e molti curiosi da luoghi vicini.
L'anno scorso,come cronisti d'assalto,noi Ippocampini,alla ricerca di vecchi e nuove memorie locali,abbiamo attraversato quella serata nel tentativo di leggere ed integrarci nella festa paesana, intuendo una voglia nuova, un sistema paese al quale abbiamo voluto dare il nostro contributo di giovane associazione, innamorati dell'idea di far tornare Viserba una realta' viva,dinamica, intellettualmente propositiva e tanto,tanto festaiola.
Sull' onda del sentimento patriotico dei 150 anni dell'Italia, oserei dire che ieri sera
“ VISERBA S'E DESTA”
Allora onore e merito agli organizzatori, comitato Commercianti del centro“Promoviserba”,Comitato Turistico, presidente di quartiere,bagno Playa Tamarindo e l'Associazione culturale Ippocampo che ci hanno fatto vivere una serata speciale,ma soprattutto grazie alla gente che sta'dimostrando di sentirsi nuovamente a casa, nel proprio territorio,generosa e ospitale come tradizione vuole,emblematica la distribuzione gratuita da parte dei commercianti di  cibo,dolciumi e bevande  ad amici,passanti e curiosi nel pieno spirito dell'ospitalita' romagnola.
Allo sbocco a mare del negozio 71, hanno fatto il classico pienone,sono le 21,30 un muro di gente ci separa dal tavolo della distribuzione,saliamo sulla terrazzina adiacente..a domanda ci rispondono di aver distribuito oltre 1000 piadine,cotto 700 morelli di salsiccia ed offerto 30 kg di sardoni...un doveroso grazie alla fam. Sivieri ed al Gruppo della scoglira, impareggiabili cucinieri,buongustai e indispensabili braccia operanti.......la spiaggia e'  affollatissima, tutti hanno bocca e mani impegnate, i bambini  si arrampicano chiassosi su dune di protezione, il grande falo'poi,come da consuetudine è proprio di fronte, forse  un po' troppo presto acceso ,quasi ad invocare l'inizio di una primavera che stenta ad arrivare.
Viserba si e' accesa di musiche e parole per allietare 5000 presenze che riempiono quattro zone del centro: se la GP Band suona in fondo al viale Polazzi e gli intervenuti si abbuffano dei dolcetti offerti dalla pasticceria Reale,gli AFTER GOD si esibiscono in una musica funk metal,nello sbocco a mare di via Roma davanti ad un giovane pubblico ed a una signora ultra ottantenne in carrozzina scatenata come un adolescente.
In spiaggia vicino al grande falo' si esibisce un gruppo di quattro elementi “BUS 70-80” con buona musica famigliare, mentre la piazza Pascoli ancheggia al ritmo dei tormentoni estivi del trio Claudio-Marino-Cinzia coadiuvati dal sempre bravo e disponibile Sauro Bertozzi.

Zigzagando dentro i sorrisi della gente,che si incontra e chiacchera allegramente, ascolti  una onesta ricerca di una offuscata memoria e maggiore confidenza ,ed e' qui, dentro questo sentimento di ritrovata identita' che l'Ippocampo traccia la sua mission. : il nostro gazebo all'ingresso della piazza con la raccolta di antiche foto e le proiezione ne e' stato la testimonianza.
Si fermano,curiosi,poi...interessati, qualcuno si riconosce e riconosce altri...si rivedono,salutano,ricordano e rivivono...

Non si era mai vista tanta commozione unire una intera generazione,quella degli anni 60,quando attorno alla nera tonaca del compianto Don Ciro hanno vissuto e condiviso una adolescenza semplice e scanzonata, collante fatto di amicizie vere,accoglienza,impegno che a volte vorremmo rivedere anche nei giovani di oggi.
Attenti al passato ,lo scorrere immagini di anni e ricordi,di volti.di luoghi,di giovani amori...molto e' cambiato, alcuni sono rimasti sogni,altri realizzati ma tanto e' bastato per sentirci ancora presenti,qualcosa ci unisce.

La sensazione è che il fuoco sia stata una scusa....quest'anno la gente voleva dell'altro...cercava  calore

Nerea Gasperoni per Ippocampoviserba

Che serata ragazzi!!! Non mi sarei mai aspettato una serata così fantastica, sotto tutti i punti di vista: il clima, la gente, l'ambiente, la compagnia, il cibo, il vino, i fuochi... e naturalmente l'Ippocampo, sempre di più punto di aggregazione, di ritrovo, di amicizia, di storie, ricordi, emozioni, voglia di ricordare e condividere con tutti!!!
Difficilmente si scorderanno i visi allegri, sorpresi, increduli di chi, ieri sera, passando in Piazza Pascoli si sia per un attimo ritrovato trasportato in una Viserba di qualche decennio fa attraverso le immagini, le fotografie che lo ritraevano ragazzo, o addirittura bambino. Rivedere persone che, magari, oggi non sono più con noi, rivedere i vecchi amici e compagni di notti allegre, di feste, di gite con gli scout, di partite a pallone... e che dire del nostro mitico VJ Drudi che ha sapientemente mixato le immagini e che, pazientemente, si è messo a disposizione di chi voleva soffermarsi o rivedere qualche foto, riuscendo a trattenere sempre intorno a sè un numero nutrito di "spettatori", molto attivi e vivaci. Ed anche di tutti coloro che nel gazebo si sono alternati per offrire un bicchiere di vino, una fetta di ciambella, un biscotto e nel frattempo immergersi nei ricordi attraverso le cartoline d'epoca, le fotografie che molte persone hanno gentilmente deciso di condividere tramite la nostra associazione. In questo piccolo angolo di Piazza Pascoli si è così venuto a creare una sorta di "angolo meraviglioso" dove ognuno, con le proprie storie, il proprio passato e le proprie emozioni si è sentito partecipe di una comunità che, in questa tradizione della Focheraccia, ritrova un forte spirito di union e di condivisione di valori che, credo, sia fondamentale non vadano mai dispersi. Tanto per citare una persona, l'Eugenia che più volte è tornata ai nostri tavoli a rivedere le foto, a commentarle e ad attirare tutti con quella sua innata simpatia, quella sua carica travolgente a cui difficilmente si riesce a resistere.
E se mi sono emozionato io, che in fin dei conti non sono nato qui e ci vivo soltanto da tre anni, posso solo lontanamente immaginare le belle sensazioni che possono aver provato le persone che in questa piazza e lungo le stradine di Viserba hanno vissuto fin da bambini, spesso tra grandi tragedie e momenti di difficoltà, ma sempre con fortissimo attaccamento alle proprie radici, al proprio territorio e alle proprie tradizioni.
Tantissima davvero la gente che ha partecipato con tanta gioia e disincanto ad una serata che ci ha davvero "risvegliato" dopo un lungo e rigido inverno. Dando a tutti la possibilità di riappropriarsi di quegli spazi che tra pochi mesi saranno occupati dai tanti turisti che ogni anno affollano questo tratto di costa romagnola... e già si parla di nuove iniziative, nuovi momenti di aggregazione di cui si sente davvero il bisogno e credo che come associazione sia per noi importante cogliere questi segnali e saperli indirizzare verso la riscoperta del passato, importantissimo ma non fine a se stesso, che sia lo stimolo a creare un futuro diverso, in cui i protagonisti siano tutte quelle persone che ieri si sono emozionate a guardare il loro stesso passato.
Sono davvero contento di poter far parte di questo gruppo con tante idee, tanta voglia di fare, di mettersi in gioco...in fin dei conti siamo ancora dei "dilettanti" ma con una grandissima PASSIONE!!!

Paolo e Danda per Ippocampoviserba

mercoledì 16 marzo 2011

LE FOCARINE

                          


Lòma, loma ad Merz
d'ogni spiga faza un bèrc,
un bèrc e una barcheta,
lòma, lòma benedeta.

Per il 19 Marzo ai bambini era affidato il compito di trovare la legna per la focarina di S.Giuseppe. Non era un compito facile, perchè ormai in tutte le case si erano finite le provviste di legna ed anche quelle di legnetti e stecchi.
Con i carrettini prestati dai genitori, i ragazzini andavano di casa in casa a mendicare un pò di canne, di fuscelli, di rametti. Si andava nei campi a raccogliere l'erba secca, gli sterpi, a rubare i rami delle potature. Ci si inoltrava nei boschetti e lungo i fossi a cercare rami. Si andava per marina a raccogliere tutto ciò di combustibile avessero portato le onde.
Giorno dopo giorno il mucchio cresceva.
Senza farsi vedere si facevano spedizioni nelle vie adiacenti per scoprire a quale altezza arrivassero i cumuli dei vicini. Le bambine venivano incoraggiate a raccogliere legna: ' Andate a raggomitolare per San Giuseppe : "vi regalerà bei gomitoli" dicevano maliziosi . Le più timide arossivano e curvavano le spalle, le più ardite si mettevano dritte col seno sporgente per far notare che loro già avevano un pò di gomitoli.  A forza di bastoncini, di stecchi, di foglie,e di radici il mucchio era ormai alto, ma non quanto avevano sperato i bambini.
L'ultimo giorno, intervenivano gli adulti con fascine, legni tarlati, pagliericci mal ridotti, pezzi di asse.  Finalmente la catasta era di grandi dimensioni.
Ma non era finita.  Arrivava il responsabile del fuoco che guastava tutto il mucchio e rifaceva la catasta secondo criteri minuziosi. Quando la sera si perdeva nella notte e comparivano in cielo le prime stelle, i bambini si radunavano attorno al loro mucchio ed aspettavano.
Un poco alla volta arrivavano tutti quelli delle case attorno. Guardando su nel cielo blu si vedevano già eteree nuvole grigie levarsi lontano.
Qualcuno aveva già acceso i falò. Si veniva colti dall'impazienza. Finalmente il responsabile del fuoco accostava un fiammifero al mucchietto preparato nell'interno della catasta e accendeva una piccola fiamma.
Tutti guardavano in silenzio, attendendo. Dal centro della catasta scaturiva una fiammella pallida,vibrante che diveniva più vigorosa, agitandosi come un petalo rossastro, lambendo la paglia. Improvvisamente, con un "vaaamp" sonoro il fuoco prendeva. I bambini  strllavano eccitati, i grandi battevano le mani.


Il fuoco andava potente, crepitava, aggrediva la legna con furia, lambiva i fianchi con vivaci vampe arancioni. Saliva aggressivo fino alla cima della catasta; le lingue di fiamma si univano in un' unica fontana di fuoco che saliva in alto nell'aria scura. Le scintille seguivano crepitanti, danzando, la grigia scia di fumo che saliva su, al viola del cielo.  Attorno la gente si ritraeva, le mani sulle guance infiammate dal calore.
Ora la catasta era tutta d'oro. Brillava più delle stelle in cielo.
Fiamme striate d'arancio e azzurro l'avvolgevano. Si ammmirava la sua bellezza. Era il momento di fare confronti. Si saliva in alto per guardarsi attorno. '"Oh, come è bassa quella della via Roma! ''Quella dei ...è grande quasi come la nostra, ma "l'è tòta spandazeta!"
Il fuoco ardeva . I bambini si rincorrevano intorno eccitati. Prendevano dei fuscelli, li accendevano e li portavano in giro roteandoli. Ormai l'orizzonte era tutto un bagliore rosso che bucava il nero della notte. Il cielo era schiarito da tanti fuochi. A poco a poco, la catasta si sedeva, cioè si abbassava. Non c'erano più fiamme alte, ma braci ardenti in un gran cumulo. Era il momento di mettersi in mostra per i giovanotti.  Prendevano la rincorsa  e...., con un balzo, si sollevavano sull'alto braciere. "Ohoh! " facevano le ragazze ammirando. "Chi salta la fugaraza avrà fortuna tutto l'anno!" Si affermava.
Una ragazza solitamente la più ardita e la più ammirata, veniva presa per mano e saltava sulle fiamme sollevata da due giovani che saltavano con lei.
Gli spettatori battevano le mani. Poi toccava agli altri ragazzi che saltavano alti sul fuoco con la vivacità della gioventù. Il fuoco scemava ed i giovanotti se ne andavano a cercare altri fuochi ed altre ragazze. Toccava allora a bambini ed alle bambine che, ridendo, saltavano leggeri sopra le braci. Infine era la volta dei più piccoli che, presi fra due grandi, venivano sollevati per le braccia e compivano anche loro il volo rituale sul fuoco, strillando eccitati.

Ormai la focarina era diventata un focherello. Lentamente si ritornava a casa. Ultime le vecchine. Andavano a recuperare i loro scaldini e li riempivano ben bene di brace . Tornavano a casa covandosi il bel tepore. L'aria era gelida e sapeva di fumo. Il responsabile del fuoco gettava acqua sulle ultime braci.
A casa si metteva sul davanzale della finestra un lumino ad olio per far luce a San Giuseppe. Nella notte nera occhieggiavano come lucciole fino all'alba.  

" E' fug e sciùplettla
e al lozli al fa lom me fòm "
 
Emanuela Botteghi da  'Un cassetto infondo al cuore ' di Tecla Botteghi
per l'Associazione Ippocampo Viserba

venerdì 4 marzo 2011

CARNEVALE AVANTI AVANTI, TI FAN FESTA TUTTI QUANTI

                                  



Anche se il proverbio recita: 'dopo Natale ogni giorno è Carnevale', la vera festa si concentrava nei giorni del Giovedì grasso,del Sabato e del Martedì grasso. Quest'ultimo,col sapore dolce amaro della fine della festa, nell'attesa malinconica dello scampanio della 'campana lovva' che avrebbe annunciato la morte del Carnevale. Se per il Giovedì 'lov' ci si accontentava delle cantarelle ( farina,acqua e sale ) fatte cuocere sul testo di ferro appena unto di strutto, il Giovedì Grasso si doveva incoronare il re Carnevale con una cena abbondante fatta da almeno sette tipi di dolce.
Per l'occasione le donne tenevano a conto farina,strutto,uova per contribuire alla buona riuscita della festa, Il pomeriggio si cominciava a lavorare di tagliere, ogni famiglia si dava da fare per preparare qualcosa di buono.
Era una festa corale in cui i vicini si riunivano per stare in allegria.
Nell'aria fredda della sera, si spandeva il caldo odore del fritto e dei dolci,dell'anice e dello zucchero. Poi,con uno o più fagottini in mano, ci si avviava alla casa del raduno. Si entrava nella cucina in penombra, si aprivano le 'legacce' di tovaglioli candidi e si distribuivano i piatti sulla tavola: biscotti fragranti di limone, castagnole al forno col profumo di alchermes, cassoncini alla marmellata o alla ricotta, cassoni fritti con spinaci ed uvetta.
Già la tavola era colma,il gusto si saziava di fragranze insolite, gli occhi brillavano alla vista di tanto ben di Dio: era il giorno dell'abbondanza.
Poi veniva il momento più atteso. Si alzava il fuoco e si metteva sulle braci la grande padella di ferro, si aggiungeva lo strutto e...via!
Tutti intorno guardavano ammirati, calavano le castagnole. I bambini più piccoli avevano il privilegio di 'è lec', potevano leccare una castagnola prima che finisse in padella. Lasciavano sulla pasta un segno che sarebbe rimasto anche da cotto:una traccia più liscia e pallida.
Poi era il momento dei fiocchetti che, calando in padella,si gonfiavano,si aricciavano,si doravano assumendo forme fantasiose. Venivano tirati su con la ramagnola e spolverizzati parcamente di zucchero.
I bambini inseguivano con le dita i grani zuccherini sperduti sulla tavola scura.  C'era un momento di estatico raccoglimento mentre si esaminava la tavola imbandita illuminata dal lume e dal riverbero giallo arancio delle fiamme.
Ci si metteva a tavola; i dolci svanivano pian piano e le chiacchere crescevano. Il mezzovino fresco scorreva nelle gole. Si rideva. Si gustava quell'insolito ben di Dio che doveva durare nel ricordo di tutto l'anno.
Si parlava ad alta voce, si facevano scherzi e giochi. Si intonava una canzone battendo le mani e tutti, grandi  e piccini, si mettono a ballare al suono allegro di una chitarra
        
                      
                      Carnevel è va in qua e in là
                      a fè i zugh in totti al ca.

Emanuela Botteghi da  'Un cassetto infondo al cuore ' di Tecla Botteghi 
Per l'Associazione Ippocampo Viserba
                                                                                                                                                              

mercoledì 2 marzo 2011

PRIMO MARZO


Pirinela sora i cop,

e fa veida e cul ma tot.


Il primo marzo attendeva da tutti una cerimonia importante dedicata all'inizio del bel tempo. Per scongiurare pericolose scottature,carnagione troppo scura,dannose insolazioni,si doveva mostrare 'e cul ma merz'. L'ora propizia era il primo mattino,al sorgere del sole. Era una cerimonia intima ed era opportuno che il sedere nudo fosse visto solo da marzo. Al mattino presto,i bambini,con risatine soffocate,esigevano di essere soli. Poi spalancavano la finestra,controllavano che nessuno fosse in vista, tiravano giù le braghette, giravano il sederino verso il sole e recitavano la formula magica: 'Marzo cuocimi questo e non cuocermi altro'per tre volte. Poi si tiravano su i calzoni, o tiravano giù le sottane e la cerimonia era finita. C'era però da fare i conti con i fratelli dispettosi che entravano sul più bello facendo loro 'baia'; i più birichini mostravano il sedere facendo mille smorfie e finiva a cuscinatee a capriole. Le mamme provvedevano per i più piccoli perchè anch'essi fossero salvi dai pericoli del solleone. A tavola i bambini guardavano maliziosi i genitori: E voi, avete fatto vedere il sedere a marzo?'   'Sì' 'E dove?'  'Sul tetto'

Sol, sol benedet

tira fora i tre bacchet

un d'or, un d'arzent,

un pè fè vni è bel temp.


Dopo la cerimonia propiziatoria al sole,marzo avanzava nella primavera. Era arruffato, scomposto,capriccioso. Esibiva con noncuranza alberi nudi, sterpi secchi, giunchi scapigliati, foglie fradice sparse ovunque. Lungo la riva del mare detriti scurisegnavano i limiti delle burrasche invernali. Ma c'era qualcosa nell'aria... Un venticello curioso andava a frugare tra stecchi e foglie morte come alla ricerca di un tesoro perduto. Dalla terra esalava un profumo fresco che sapeva di nuovo e di erba. Nelle pozzanghere fangose si specchiava un angolo di celeste. Una coccinella,comparsa chissà dove, zampettava lenta sullo steccato del cortile. sera,un raggio di sole indugiava a lungo sul tetto di casa lasciando premesse di sereno tepore. Sul mare la primavera avanzava. L'acqua diveniva del colore dell'aria e mandava un odore fresco di alghe. Il vento,scherzando con le onde, le ornava di gale bianche che il sole tingeva di rosa. Gli uccelli marini roteavano in cerca di pesci. Sulla riva le barche erano pronte alla toletta primaverile. Aleggiava intorno odore di catrame, di vernice, di fuoco fumoso, di legna umida. Le reti, stese sui cespugli e sulle dune come festoni bruni,emanavano odori salini.  Le nasse accatastate erano pronte all'uso. Bambine pazienti vi inserivano mazzetti di sempreverdi. I bambini saltavano sulla riva giocando con l'acqua gelida. Sciami di pesciolini color terra si tingevano d'oro là dove il sole li raggiungeva. L'acquadella argentea si esibiva tra le alghe in balli coreografici di gruppo. Un martin pescatore si tuffava in un guizzo d'azzurro e smeraldo. Giungeva invece la pioggia.Sottile,insistente si dedicava metodicamente alle pulizie: lavava i tetti,sciaccuava la salsedine dei muri,ravvivava le foglie dei sempreverdi,innaffiava l'orto,irrorava il giardino con delicata determinazione. La terra avidamente beveva,si nutriva dell'acqua gentile che la purificava. L'aria sapeva d'erba nuova. La rena della spiaggia era tutta rivoli e crateri. Cullati dal bruscio della maretta, i gabbiani si affidavano alle onde placide. Il cielo notturno sapeva d'acqua; gli astri sembravano occhi velati di lacrime.

E piov,e piov è zil

aqua ad San Pir,

San Pir è semineva

e tot us bagneva,

sa st'aqua e sa ste vent

dmen u sarà bel temp.


Emanuela Botteghi da 'Un cassetto in fondo al cuore ' di Tecla Botteghi


Per l'Associazione Ippocampo Viserba

lunedì 21 febbraio 2011

Don Ciro ...Cappellano a Viserba dal 1966 al 1971


Don Ciro

a volte basta un piccolo sasso che ti fa inciampare e che riesce a fermarti, dandoti la possibilità di guardarti attorno.

Questo mi è successo pochi giorni fa attraversando come sempre Piazza Pascoli a Viserba, martoriata col suo acciottolato distrutto, ma proprio questo piccolo rallentamento mi ha fatto notare una locandina appesa con discrezione in mezzo a tanti altri annunci, alla porta della Chiesa. Nel leggerla non posso che rimanere stupita nel vedere quel volto noto e caro anche se ormai dimenticato, e l'emozione cresce leggendo che son passati 40 anni dalla morte di quella persona conosciuta.

Finalmente ricordo, quel giovane sacerdote, mi sento in colpa per questo vuoto di memoria così lungo, tuttavia sono cosciente del fatto che ciò che sono oggi è possibile perchè lui c'è stato. Ecco comparire il rimorso, come posso essermene dimenticata, che vergogna proprio lui che tatto ha dato a me ed a quei ragazzini e bambini che 40 anni fa lui tanto ha amato.

Ma in fondo chi si ricorda il giorno in cui ha imparato a leggere o quello in cui ha imparato a scrivere, o il primo numero uscito dalla penna, o la prima volta che si vista la luna, non lo sappiamo, non possiamo rammentarcene eppure quella esperienza c'è stata. Questo è ciò che ho provato vedendo per caso il manifesto funebre di Don Ciro Romani, Cappellano a Viserba non ricordo per quanto, ero tropo giovane per notare queste cose, ma lui c'è stato ed ha lasciato su tutti noi "suoi bambini" un segno.

Vengo a conoscenza che la Parrocchia organizza un gruppo per partecipare alla messa di suffragio a Mondaino suo paese natale.
Giusto riconoscimento da parte dei parrocchiani, ma c'è qualcosa che manca, un vuoto, mancano proprio "i bambini" che lui tanto amava. Comincia un veloce tam-tam, il tempo è poco, quasi tutti lavorano e sono super impegnati, partecipare ad una messa a metà pomeriggio di un giorno feriale è impossibile per molti.
Tuttavia i pochi fortunati che sono riusciti a percorrere, in quella dolce sera di febbraio, la strada collinare che porta a mondaino, lo hanno fatto con cuore la riconoscenza di tutti gli altri.

Siamo arrivati in paese che il giro stava per finire e il rosso tramonto si attardava come per aspettarci, la messa era incominciata da poco. Inaspettatamente la chiesa era colma, molti sacerdoti concelebravano, e lui era presente in una fotografia collocata vicino all'altare, e ci catturava con un dolce sorriso.

L'omelia fatta da un sacerdote amico di seminario è stata continuamente rotta dal pianto, come se quella assenza fosse recente ed ancora viva. L'emozione ha colto un po’ tutti, gli occhi erano lucidi, poi l'armonia ci ha catturati e la messa è finita con un sentimento di gioia che sicuramente Don Ciro avrebbe apprezzato.

Fuori dalla chiesa è ormai buio e la fretta ci assale, dobbiamo tornare ai nostri impegni, tuttavia ancora una volta ci dobbiamo fermare, un sorriso stranamente conosciuto ci invita con pacatezza ad un piccolo rinfresco in onore di Don Ciro, Sono i suoi familiari ad offrirlo e colui che ce lo chiede è il fratello.

Non possiamo rifiutare e dopo pochi minuti siamo in un piccolo ambiente riscaldato da una schioppettante stufa e imbandito con ciambella e crostate casarecce, nasce un intenso dialogo tra noi e le persone della famiglia Romani, sorella, fratello, cognata e tanti nipoti ci accolgono con affetto come se ci aspettassero da sempre, ci riconoscono e capiscono che noi eravamo "i suoi bambini" ci abbracciano, ci si scambiano ricordi e notizie, avidi delle parole gli uni degli altri.

Infine ci porgono nelle mani cinque album di foto che il fratello Giorgio teneva da 40 anni e dai quali non riusciva a staccarsi, eppure ci vengono donati così, senza nessuna garanzia, senza timore, riconoscendo che tornavano a Viserba da dove erano venuti. Oggi l'Ippocampo ha l'onore di poter disporre di questo materiale eccezionale fatto di vecchie foto in bianco e nero, mi auguro che ognuno di noi presente in quelle foto, possa fermarsi un attimo per ricordare, voltarsi indietro e riconoscersi.

Manuela Botteghi  per l'Associazione IPPOCAMPO Viserba

martedì 1 febbraio 2011

RIMINI | 01 febbraio 2011
molti dei macchinari storici ancora all'interno sono ormai arrugginiti da decenni.
Il piano particolareggiato di intervento proposto dalla Viserba Residence, società che fa capo alla Renco di Pesaro, prevede 20.770 metri quadri di residenziale, con una stima di oltre 200 appartamenti, e un'altra dozzina di appartamenti di edilizia residenziale pubblica, per 972 metri quadri, che saranno ceduti al Comune. A residenziale sarà convertito l'edificio di ingresso su viale Marconi, mentre il vecchio Mulino su via Amati sarà trasformato in centro di quartiere e luogo di memoria storica. Sul lato sud, sorgerà invece un centro direzionale e commerciale di 5.080 metri quadri. In mezzo, un parco pubblico attrezzato di 22.600 metri quadri. In totale ai parcheggi, per oltre 500 posti auto, saranno destinati 11.780 metri quadri: a fianco del commerciale, su un'area di 2.500 metri quadri, ci sarà un parcheggio seminterrato su due piani. Sono stati aggiunti 400 metri di edificazione: 200 per l'edilizia pubblica, altri 200 per una sala convegni a fianco del mulino. L'intervento comporterà una rivoluzione nella viabilità: via Marconi sarà a senso unico, direzione monte-mare, con una ciclabile. Saranno preservati gli alberi. Le vie Fattori e Amati, sempre a senso unico, saranno allargate. Tra via Sacramora e via Amati ci sarà una rotatoria: c'è una trattativa per dei terreni interessati, altrimenti scatterà l'esproprio: l'esecutore mette a disposizione 100.000 euro, il Comune 40.000 ma la stima è molto inferiore.
Sul lato nord non è escluso uno sfondamento su via Fattori, inizialmente bocciato dagli uffici comunali: servirà un emendamento da far approvare in Consiglio.
Le opere di urbanizzazione, per un totale di 10 milioni di euro a carico dell'esecutore, come vuole la legge saranno assegnate con una gara a evidenza europea.
Per prevenire il ritornello che a Rimini prima si costruisce, poi si fa il resto, la convenzione prevede che nei primi cinque anni si metta mano a viabilità, verde pubblico e parcheggi. Le parti storiche, in particolare macchinari e dipinti, saranno conservate. Per la corderia, che fu anche campo di smistamento di prigionieri, resta il rammarico un'occasione persa ormai da decenni: quella di farne un grande parco di memoria industriale e storica
tratto da newsrimini .it del 01-02-2011

sabato 29 gennaio 2011

Su E-Bay spuntano memorie di Viserba

Devo dire che da qualche anno sono diventato un assiduo frequentatore di e-bay soprattutto alla ricerca di materiale cartolinesco dedicato a Viserba e a Viserbella, e molte volte mi è capitato di acquistare materiale a dei buoni prezzi trovando anche alcune “chicche”.
Ma davvero qualche giorno fa ho strabuzzato gli occhi alla vista di questo biglietto della Lotteria del Mare messo all’asta e che, purtroppo, non sono riuscito ad aggiudicarmi. Il biglietto è datato 1948 (come si può leggere dalle scritte sul retro) e praticamente si trattava di una vera e propria Lotteria, con tanto di premi finali abbinata alla Coppa del Mare, una sorta di regata tra battane (le tipiche barche da pesca che si usavano in quegli anni lungo le coste adriatiche).
La Lotteria veniva organizzata dall’allora Comitato Turistico che, in quegli anni, si chiamava Comitato Cittadino per la Ripresa Turistica Locale (C.C.R.T.L.) ed il biglietto costava Lire 100 (che a quei tempi doveva essere anche una cifra non per tutti). Come si legge anche dal retro del biglietto i soldi ricavati da questa lotteria servivano a realizzare opere ed infrastrutture per migliorare i servizi turistici di Viserba. Non ci dimentichiamo che da pochissimo era terminata la Seconda Guerra Mondiale, con tutte le conseguenze che abbiamo imparato a conoscere attraverso le testimonianze di chi ha vissuto in quel periodo, per cui si cercava di tornare ad una normalità che significava anche ritrovare uno spirito imprenditoriale per rilanciare la riviera romagnola e la zona di Rimini in particolare.
In pratica i biglietti venduti venivano abbinati (nella giornata del 14 Agosto) alle battane che partecipavano alla regata che si sarebbe svolta il giorno successivo, Ferragosto. Sicuramente sarà stato uno spettacolo bellissimo vedere tutte le barche gareggiare e, magari, qualche Viserbese in un cassetto conserva qualche ricordo o qualche immagine di questa manifestazione.
Sicuramente rimane il fascino per una scoperta di cui, almeno io, ignoravo completamente l’esistenza e sicuramente ci sarà un bel lavoro di ricerca da portare avanti per cercare di trovare ulteriori dettagli ed altre testimonianze in merito… anzi se qualcuno ha materiale o altre informazioni è invitato a contribuire alla crescita del progetto Ippocampo e alla riscoperta di un patrimonio culturale che, di giorno in giorno, vediamo accrescere sempre con maggiore passione…in attesa che la “rete”, ma non quella da pesca, ci riservi presto nuove scoperte!!!

Paolo Catena
Ippocampoviserba 2011

lunedì 24 gennaio 2011

torna la lapide ricordo

articolo apparso sul giornale locale in data 21-01-11

martedì 11 gennaio 2011

Un pomeriggio d’arte e di amicizia

È sabato 08 Gennaio: pomeriggio freddo, umido e denso di foschia. C’è un velo che ingrigisce l’aria e che all’orizzonte sembra quasi diradarsi. Ma è un clima normale qui, a Viserba, e il paesaggio è consueto, con il mare che si confonde col cielo.
Abbiamo appuntamento presso la chiesa di San Martino in Riparotta (nella zona di Viserba Monte), con un folto gruppo di persone a noi sconosciute, se si fa eccezione per Simona e Andrea, che hanno organizzato una visita a dir poco emozionante: si va a trovare l’artista riminese, Davide Salvadei, da tutti conosciuto come “Eron”, nel suo studio di Sogliano al Rubicone.
Si parte da questa piccola e antica parrocchia del settecento, nell’entroterra viserbese, dove nessuno si aspetterebbe un intervento recente di tal genere: un affresco per la decorazione della volta della navata centrale molto particolare. Alzando gli occhi al cielo possiamo osservare (vedi foto) un vero e proprio “murale” realizzato con la tecnica della spray-art, utilizzando vernice in bombolette spray.
L’autore di quest’opera è proprio Eron, lo stile è proprio lo stesso usato dai moderni graffitari, o writer, che spesso realizzano dei veri e propri capolavori a decoro di cavalcavia, sottopassi o grigi anonimi muri di periferia.
Solo le parole del parroco, Don Danilo, riescono ad avvicinarci meglio alla nascita dell’idea, al suo sviluppo e alla sua concretizzazione finale: da un angolo, sul cornicione della navata centrale, un ragazzo con un paio di ali, ritratto di spalle in maniera molto realistica (il suo volto non è ben distinguibile e potrebbe anche essere femminile), disegna con la sua bomboletta delle colombe stilizzate color oro. Queste portatrici di pace volano verso il centro della volta, dove assumono un’aspetto più realistico nel momento in cui fanno l’ingresso in un magnifico trompe-l’oeil incorniciato che ritrae la volta celeste. C’è una simbologia condivisa dal writer e dal committente: l’idea che le aspirazioni, i sogni e i desideri dell’uomo (rappresentato proprio dalla figura umana) si possono concretizzare e diventare realtà solamente nel momento in cui rientrano nella volontà di Dio. Questa si colloca qui in un cielo, la cui profondità – sottolineata dalle nuvole che si schiariscono e si diradano man mano che si prende quota – indica le difficoltà dell’esistenza umana.
E’ veramente una sorpresa, per chi ha vissuto per molti anni a contatto con la realtà, non riminese, dei writer e dei graffitari, ritrovare proprio all’interno di un luogo religioso l’utilizzo di una tecnica artistica così estremamente moderna e, soprattutto, da molti ancora valutata come semplice gesto di disprezzo o di vandalismo nei confronti di un muro o di un palazzo.
Per dirla con le parole dello stesso Eron sul suo sito internet: “per la prima volta nella storia, la street art, entra nel tempio dove l'Arte supera i tempi nei secoli dei secoli. La chiesa. La ‘consacrazione’ di un'arte che fino ad oggi è stata oggetto di un ‘pregiudizio universale’”.
Lasciamo la chiesa di San Martino. Una carovana di auto si snoda tra le nebbiose colline dell’entroterra romagnolo. Un paesaggio quasi sfocato ci accompagna al tramonto e all’atelier di Davide in quel di Sogliano, e appena ne varchiamo la soglia, ci sembra che proprio quello sfondo nebbioso e sognante, quasi inconsistente, faccia parte dell’immaginario dell’artista.
Non nascondiamo una certa emozione, seppure l’ambiente sia scarno ed essenziale.
Ci colpiscono i muri bianchi, segnati dagli spray e dalle gocce di colore, ci colpisce l’odore acre delle vernici e la musica lounge che pervade la stanza. Ma quello che più ci impressiona sono le numerosissime bombolette accatastate nella sua “zona di creazione”.
Le grandi tele sono disposte in ordine apparentemente casuale, o accatastate in vecchi mobili riadattati e i nostri occhi non smettono di curiosarvi.
Notiamo altre opere più piccole e con soggetti molto diversi e veniamo a sapere che l’atelier è condiviso con Federica Gif, un’altra artista riminese che meriterebbe un approfondimento a parte…
Eron finalmente ha un volto per noi. Accoglie tutti, amici e non, sorride, parla in totale semplicità e schiettezza. È sommerso di domande e noi riusciamo difficilmente a catturare qualche sua descrizione. Capiamo che è un’artista votato decisamente all’arte moderna e che ora predilige le tele ai muri. Gli stessi muri, un tempo, gli sono serviti sicuramente per affinare un’arte che, con ogni probabilità, qui in Italia, Eron è l’unico in grado di sviluppare con una qualità notevole ed un’emozione veramente unica.
Sembra veramente passato tanto tempo quando si passeggiava per il porto canale di Rimini e si potevano ammirare i suoi “pezzi” colorare, ma ancor di più, animare questa zona della città. E allora subito veniva voglia di fotografare, o ancor meglio di schizzare su un taccuino, questi segni, queste figure e questi colori così penetranti.
Le sue opere oggi sono caratterizzate da un fortissimo legame con la realtà che lo circonda: il mare, la natura, gli skylines di questa zona della Romagna… ma ogni sfondo, immaginario o reale che sia, è popolato da figure: persone, il più delle volte, ritratte in atteggiamenti insoliti, gesti quotidiani o pose quasi meditative. Esse spesso interagiscono con figure animali o altri elementi del paesaggio ritratti in maniera quasi fumettistica, riportando alla nostra mente i trascorsi dell’autore come writer.
Il laboratorio vero e proprio dove tutto ciò prende forma è una piccola stanzetta. In fondo a questa c’è la tela in fase di lavorazione. Questa è grigia, con uno skyline tracciato a tratti sicuri ma sempre sfocati, in basso poche linee appena accennate suggeriscono l’increspatura del mare. Ma sì, la riconosciamo quasi a colpo d’occhio,
è Viserba, proprio il paesaggio consueto che a noi abitanti si prospetta sul mare, guardando verso Rimini. Poi scopriamo che è qui che abita Davide.
Un legame che ci fa sentire a lui più vicini. Così ci viene spontaneo parlargli  dell’Ippocampo e delle persone che lo compongono, delle attività e delle aspirazioni,  di Viserba, di quello che nell’immediato offre e che invece potrebbe offrire ai giovani.
Il grande interesse di Davide ci spinge a chiedergli un nuovo incontro. Ci lasciamo dunque con la promessa di rivederci presto per tornare a fare una chiacchierata con Eron, parlando delle sue opere, di Viserba come motivo d’ispirazione e del suo futuro come fucina creativa per nuovi talenti.

Paolo e Loredana
IppocampoViserba 2011


Link al sito di Eron: www.eron.it