giovedì 21 aprile 2011

IL VENERDI' SANTO

" Urazion de Vendri sent
cn'a nè fin, nè cominciament"


La bisnonna annunciava così la lunga orazione sulla passione di Gesù.
E continuava:

"Urazion de Vendri Sent,
la Madona la fa un gran pient,
un gran pient e un gran dolor,
la passion de nost Signor."

Era il Venerdì Santo, il giorno del silenzio e della preghiera. Le campane, legate, tacevano.
I giochi in strada erano interrotti. Si andava in Chiesa a visitare i Sepolcri. Non c'erano fiori, nè ornamenti; statue e dipinti erano velati di drappi viola. Attorno all'altare erano disposti i vasi con il grano verde pallido, fragile perchè cresciuto al buio. Era l'unico verde ammesso in Chiesa, simbolo della morte oscura che sarebbe tornata alla luce della vita.
Si girava in ginocchio intorno al grande Crocefisso deposto in terra, nell'abside . Alla fine le ginocchia dolevano: si faceva penitenza. Si dovevano recitare trentatrè paternoster, uno per ogni anno della vita di Gesù, ma si perdeva il conto e bisognava ricominciare da capo.
Nelle case, a capo dei letti, erano appesi i rametti d'ulivo benedetto nella Domenica delle Palme. Ce n'erano anche nelle stalle e disposte a croce all'inizio dell'orto per proteggere animali e raccolto. Alcuni rami erano stati deposti devotamente nel cassettone insieme alle candele benedette della Candelora. In caso di temporale, le candeline e le foglie d'ulivo avrebbero arso per calmare la furia del vento e della grandine.
Il Venerdì si digiunava, ossia si mangiava ancor meno degli altri giorni. Ci si accontentava di minestra matta ( senza uova) cotta nell'acqua e condita con un "cincinin" d'olio o di conserva. Il pomeriggio si andava a Rimini a visitare i Sepolcri, o in Chiesa per la funzione.

Croce senta, croce degna,
Dii mi schempa, di mi tenga
Dii mi schempa d'ogni mis
Dii mi porti in Paradis


Arrivava il sabato, il giorno magro dell'attesa. I bambini andavano a far benedire le uova in cestini guarniti dai tovaglioli più belli. Più tardi tornavano ancora vicino alla chiesa, sedendosi sui gradini, silenziosi, in attesa che scigliessero le campane.
A mezzogiorno le campane si mettevano a squillare a festa. Al loro suono allegro facevano eco altri suoni gioiosi di campane lontane; l'aria tiepida di Aprile ne vibrava. Al primo scampanio, già tutti correvano alle fontane a bagnarsi gli occhi. Volevano significare le ultime lacrime versate per Cristo morto, ed essendo benedette, avrebbero preservato dalle malattie agli occhi. La fontana della piazza era affollata da gente che chiaccherava, allegra. I bambini giravano attorno a stormi gioiosi, come rondini.
Si tornava al lavoro con maggiore energia. Si accendevano i forni e si cuocevano le pagnotte e le ciambelle. Che aromi nell'aria! Le uova benedette bollivano sul fuoco. Si sacrificava una gallina del pollaio per il brodo dei passatelli di Pasqua. Le bambine andavano alla fossa dei mulini a raccogliere viole. Ne facevano mazzetti che ornavano con un centrino di carta ritagliata a merli da disporre dinanzi alle immagini benedette e da donare alle mamme e alle zie. Altri andavano in campagna, lungo i rii, per raccogliere narcisi e pasqualotti. I mazzi odorosi avrebbero profumato la Chiesa e le tavole di Pasqua.
Il sabato era tutto un indaffararsi, un via vai, un chiaccherio che invadeva il paese di serenità.
Si mettevano all'aria i vestiti preparati per la festa dell'indomani, si davano gli ultimi punti al vestito nuovo; si tiravano fuori dalle casse le tovaglie più belle, si stirava, si spazzolava, si lucidava.
Era ancora Vigilia, si cenava con erbe amare ( radicchi, cicorie) condite con molto aceto e l'immancabile piada.
Dopo cena , si pregava


L'urazion dè Paradis,
chi la sa e chi la dis
chi la sa e chi la chènta
us guadagna gloria sènta.



L'indomani la mamma destava i bambini: "Sveglia! E' festa di domenica, la Pasqua del Signore" Li attendeva la colazione con la ciambella e l'uovo benedetto. Si prendeva l'uovo con devozione, si baciava, poi si recitava il Paternoster mentre si "sbucciava" con cura.
Al "cozli" venivano attentamente raccolte in un piattino perchè non si disperdessero che dovevano pio essere bruciate nel camino. Si beveva il caffelatte amaro con la pagnotta dolce con l'uvetta e l'anice.
Gli uomini preferivano il salame e l'albana. Ci si vestiva a festa. Se possibile ognuno indossava qualcosa di nuovo: una camicia, un nastro, una maglia.
Tutti in ordine e lustri si andava alla Messa solenne.

Il Lunedì era il giorno della merenda all'aria aperta. La gioventù sciamava alle "Grazie" sul colle di Covignano. Le ragazze con la camicette nuove, i ragazzi "se' sulein" si davano arie e si lanciavano occhiatine.
Le famiglie preferivano andare a spiaggia e godersi il primo sole. I bambini giocavano alla "rozla" sulle dune con le uova sode. I più piccoli rincorrevano i gabbiani. Le rondini stridevano rincorrendosi. La maretta cantava la canzone della primavera.

I giorni d'Aprile scorrevano indaffarati. Le bandierine delle nasse garrivano tra le onde verdeazurre. SAltarelli e cogolli tendevano le loro trappole ai pesci. Lontano delfini giocosi facevano acrobazie.
Negli orti si zappava, seminava, piantava. Si raccoglievano i porri ed i primi ravanelli. Si potavano siepi e sempreverdi. Si mettevano i tutori a piselli e fave.
Sulle siepi teorie di panni erano stesi ad asciugare.
Dalle campagne i contadini giungevano alla spiaggia con i loro carri carichi di panni, donne e bambini. Le donne lavavano i grossi lenzuoli nelle fosse e li stendevano sulle dune. I buoi sonnecchiavano vicino all'acqua, i bambini si spruzzavano ridendo.
Fiori sbocciavano ovunque. Vicino ai muri profumavano le serenelle. Teorie di rigidi Iris azzurri e viola contornavano i vialetti. I fiori degli albicocchi sembravano di porcellana. Andando oltre la ferrovia, affacciandosi sugli orti, Aprile offriva uno spettacolo poetico. Lungo la recinzione della strada centinaia di peri, allevati con arte a spalliera, erano coperti del bianco di infiniti mazzi profumati. Ai loro piedi, lungo la scarpata, fiorivano latte di gallina, margherite e colichini formavano una cascata lattea. Robinie odorose lasciavano al vento i loro petali.
Rosei fiori di pesco sottolineavano l'angolo di un'aia. La pioggia di Aprile accendeva riflessi iridescenti sui verdi degli orti, esaltava i colori, rifletteva il mutevole cielo primaverile.

Emanuela Botteghi da 'Un cassetto in fondo al cuore ' di Tecla Botteghi
per l'Associazione Ippocampo Viserba

venerdì 1 aprile 2011

la villetta del "DRAKE" E.Ferrari

A Viserbella l’ultimo rifugio felice
La villetta del Drake, il ricordo di chi lo conobbe.
(articolo pubblicato su “Il Resto del Carlino” del 14 febbraio 2003

E’ la casa in cui Enzo Ferrari e l’amato figlio Dino trascorsero gli ultimi giorni di vacanza. Quella casa c’è ancora. In via Palos a Viserbella, anche se del Drake non conserva alcun segno.
“L’abbiamo comprata nel 1991 dagli eredi Ferrari – spiega il proprietario Alberto Pesaresi. Purtroppo veniva da un lungo periodo di abbandono. Per aprire la porta bastava una spinta ed era stata saccheggiata a più riprese. Mi hanno sempre raccontato di una mattonella col simbolo del cavallino. Evidentemente hanno portato via anche quella… peccato”. Se Alberto Pesaresi vive nella casa del Drake, Bruno Militi , che vive a Viserbella in una casa piena di coppe, targhe e oggetti d’arte, ebbe l’onore di condividere quei giorni con Enzo e Dino Ferrari. Militi, progettista di aerei, col suo lavoro incessante in giardino attirò la curiosità del figlio di Ferrari, che sbirciava dalla siepe la nascita di idrovolanti, canoe, motoscafi… “Dino veniva in vacanza a Viserbella – raccontò al Carlino Militi qualche anno fa – a cento metri da casa mia. Parlavamo di elica, portanza, resistenza all’avanzamento. Alla fine diventammo amici e suo padre chiese di vedermi. Che emozione: ebbi conferma delle mie supposizioni. Si trattava proprio del Drake che veniva a Viserbella in incognito per evitare i perditempo. Varcai quel cancello con grande emozione. La madre di Dino, Laura, mi invitò poi a passare una settimana a Modena. Un’ospitalità che si ripeté ogni anno. Da loro conobbi Nuvolari, Ascari, Fangio, il principe Byra, cliente arabo della Ferrari.”
Dopo la morte di Dino i Ferrari tornarono poche volte a Viserbella. “Una volta Enzo – Dino era già scomparso- vide decollare il mio secondo aereo e mi invitò a casa. Ci abbracciammo. Non lo vedevo da anni. Mi indicò i possibili sviluppi del mio aereo e si complimentò con me. Mi propose anche di trasferirmi a Modena. “Venga con noi, abbiamo bisogno di un esperto in aerodinamica”. Rimasi però a casa. Molti anni dopo, come insegnante, gli chiesi di portare i miei allievi a Maranello. Conservo ancora la lettera con la quale mi scriveva che sarei stato il benvenuto.”

M.Cristina Muccioli per ass.IPPOCAMPOVISERBA