L’Orologio di Talacia
Storia dell’uomo che inseguiva il moto perpetuo
Marzia Mecozzi per Ass.IPPOCAMPOVISERBA
La festa per il 40° anniversario del Gruppo Scout di Viserba, presso la Chiesa di San Martino in Riparotta, è stata favorevole occasione per farsi raccontare, ancora una volta, da Don Danilo, la storia dell’orologio di Talacia e del suo accurato lavoro di recupero, restauro e riposizionamento, questa volta sul soffitto della sagrestia della Chiesa (all’origine era stato quello della stalla di Gennaro Angelini, suo creatore). A naso all’insù, con un ristretto gruppetto di appassionati cultori delle cose arcane e di quelle più strane e dimenticate, siamo restati in contemplazione.
Con me c’erano anche la Donatella Maltoni e la Patrizia Drudi (che per prima mi aveva erudito sull’orologio e indotto alla lettura del libro “L’Orologio di Talacia. Storie e documenti” regalandomene una copia.)
Le sfumature sempre diverse, le impressioni palpabili, la dovizia di particolari, le curiosità che sembrano alimentarsi a vicenda e moltiplicarsi e, soprattutto, la capacità espositiva dell’oratore, sono elementi coi quali Don Danilo impreziosisce, ogni volta il suo racconto. Ben esposto, fra l’altro, nel volume di cui allego qualche mio pensiero ispirato dalla lettura.
… Il tempo. Immobile di fronte all’Orologio, nella sagrestia della Chiesa di San Martino in Riparotta, osservo l’arcana opera di Gennaro Angelini. Il prodigioso meccanismo, coi suoi quadranti e le sue ruote, le catene e i tiranti, intricata e sorprendente rappresentazione delle meccaniche celesti, nella sua rudimentale essenza toglie il fiato, misterioso come il Pendolo di Foucault nell’omonimo romanzo di Umberto Eco, inquietante allo stesso modo. Sta immoto. Dicono si sia fermato quando il cuore del suo creatore ha smesso di battere.
L’uomo che inseguiva il moto perpetuo, suddividendo le ciclicità dell’Universo in secondi, minuti, ore, decenni, secoli… che, fronteggiando il calcolo astronomico della precessione degli equinozi, della differenza fra anno siderale e anno solare, contava i bisestili… se ne è andato, portando con sé la sua sapienza e quella speranza d’immortalità che forse si nasconde dentro ciascuno di noi.
“Spero che Dio sia con me” diceva “e che mi dia l’immortalità, in modo che quando (l’orologio) si scaricherà, io possa venire a ricaricarlo.”
Ma l’uomo che curava i campi della Parrocchia di Riparotta, che semplicemente viveva osservando l’alternarsi delle stagioni, che, ruvido e robusto, portava sulle spalle il peso di una famiglia grande e del dolore di averne persa parte, che ne sapeva, quell’uomo lì, delle maree, dell’asse di rotazione, dell’attrazione terrestre, della forza di gravità, della teoria della relatività?
Il tempo. Di fronte alla curiosa ‘Macchina’, in questa bella chiesetta di provincia ricostruita dopo la distruzione dei bombardamenti simile all’originale, generazioni di pensatori affiorano alla memoria. Platone, Sant’Agostino, Kant, Hegel… e infine Einstein che lo scopre relativo, a seconda della velocità e del riferimento arbitrario preso in considerazione.
Il tempo, non è un gioco da poco con cui confrontarsi e forse proprio in questa improbabile e misteriosa sfida impari risiede il fascino che avvolge l’Orologio di Talacia e che ha indotto Mario Turci, Don Danilo Manduchi e Federica Foschi - che ha curato anche la pubblicazione “L’Orologio di Talacia. Storie e documenti” prodotta dal Museo degli usi e dei costumi della gente di Romagna in collaborazione con la Parrocchia di San Martino in Riparotta - ad approfondirne lo studio e ad impegnarsi nella sua ricostruzione. L’accurata ricerca ha coinvolto nel lavoro diversi testimoni, amici e parenti di Gennaro Angelini detto Talacia. Le interviste, riportate fedelmente nel testo, a ruota libera, nello stile del linguaggio parlato, donano al saggio quel realismo che fa da sfondo autentico alla ‘Macchina del tempo’. Accanto alle testimonianze, una panoramica storica chiara e ben contestualizzata mette in fila le fasi di un’esistenza non banale, capace di elevarsi dalla terra e meravigliare il mondo. Gli articoli apparsi sui giornali degli anni Cinquanta, i documentari dell’Istituto Luce, le visite dalla Svizzera… dimostrano infatti tutta la curiosità e lo stupore degli uomini ‘colti’ di fronte a questo marchingegno di legno e ruggine, diabolico nella sua elementare complessità, con il fascino ancestrale e misterioso di un calendario Maya. Lodevole l’impegno dei ricercatori, cui si deve soprattutto il merito di aver riportato ‘a casa’ l’Orologio di Talacia.
*Col consiglio di leggersi il bel volumetto di Federica Foschi, ma soprattutto di andare di persona alla Chiesa di San Martino in Riparotta a vedere l’oggetto di tanta meraviglia.
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