venerdì 4 marzo 2011

CARNEVALE AVANTI AVANTI, TI FAN FESTA TUTTI QUANTI

                                  



Anche se il proverbio recita: 'dopo Natale ogni giorno è Carnevale', la vera festa si concentrava nei giorni del Giovedì grasso,del Sabato e del Martedì grasso. Quest'ultimo,col sapore dolce amaro della fine della festa, nell'attesa malinconica dello scampanio della 'campana lovva' che avrebbe annunciato la morte del Carnevale. Se per il Giovedì 'lov' ci si accontentava delle cantarelle ( farina,acqua e sale ) fatte cuocere sul testo di ferro appena unto di strutto, il Giovedì Grasso si doveva incoronare il re Carnevale con una cena abbondante fatta da almeno sette tipi di dolce.
Per l'occasione le donne tenevano a conto farina,strutto,uova per contribuire alla buona riuscita della festa, Il pomeriggio si cominciava a lavorare di tagliere, ogni famiglia si dava da fare per preparare qualcosa di buono.
Era una festa corale in cui i vicini si riunivano per stare in allegria.
Nell'aria fredda della sera, si spandeva il caldo odore del fritto e dei dolci,dell'anice e dello zucchero. Poi,con uno o più fagottini in mano, ci si avviava alla casa del raduno. Si entrava nella cucina in penombra, si aprivano le 'legacce' di tovaglioli candidi e si distribuivano i piatti sulla tavola: biscotti fragranti di limone, castagnole al forno col profumo di alchermes, cassoncini alla marmellata o alla ricotta, cassoni fritti con spinaci ed uvetta.
Già la tavola era colma,il gusto si saziava di fragranze insolite, gli occhi brillavano alla vista di tanto ben di Dio: era il giorno dell'abbondanza.
Poi veniva il momento più atteso. Si alzava il fuoco e si metteva sulle braci la grande padella di ferro, si aggiungeva lo strutto e...via!
Tutti intorno guardavano ammirati, calavano le castagnole. I bambini più piccoli avevano il privilegio di 'è lec', potevano leccare una castagnola prima che finisse in padella. Lasciavano sulla pasta un segno che sarebbe rimasto anche da cotto:una traccia più liscia e pallida.
Poi era il momento dei fiocchetti che, calando in padella,si gonfiavano,si aricciavano,si doravano assumendo forme fantasiose. Venivano tirati su con la ramagnola e spolverizzati parcamente di zucchero.
I bambini inseguivano con le dita i grani zuccherini sperduti sulla tavola scura.  C'era un momento di estatico raccoglimento mentre si esaminava la tavola imbandita illuminata dal lume e dal riverbero giallo arancio delle fiamme.
Ci si metteva a tavola; i dolci svanivano pian piano e le chiacchere crescevano. Il mezzovino fresco scorreva nelle gole. Si rideva. Si gustava quell'insolito ben di Dio che doveva durare nel ricordo di tutto l'anno.
Si parlava ad alta voce, si facevano scherzi e giochi. Si intonava una canzone battendo le mani e tutti, grandi  e piccini, si mettono a ballare al suono allegro di una chitarra
        
                      
                      Carnevel è va in qua e in là
                      a fè i zugh in totti al ca.

Emanuela Botteghi da  'Un cassetto infondo al cuore ' di Tecla Botteghi 
Per l'Associazione Ippocampo Viserba
                                                                                                                                                              

1 commento:

  1. Bellissimo racconto....di quando i dolci si mangiavano solo in poche occasioni .
    Oltre ai dolci, in molte zone ,per l'ultimo giorno di carnevale si doveva mangiare sette volte( non per niente il sette ,nella tradizione, è un numero magico).....e almeno una portata di carne di maiale.

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