Quei cavalli di San Giuliano.
Il palio di Viserba, lungo la strada della Sacramora
Nel 1157 il comune di Rimini, ottenuto da Federico Barbarossa il riconoscimento della propria libertà, si scelse un nuovo patrono. In polemica col Vescovo dal cui dominio si era appena affrancato declassò Santa Colomba, titolare della cattedrale, eleggendo a proprio avvocato celeste San Giuliano “cuius corpusculus” si venerava nel Monastero di s. Pietro “luogo – dice il Battaglini – che non solo in quanto alla chiesa ed al monastero ma in quanto al suolo stesso e con tutto il borgo nel quale rimaneva compreso, formava una giurisdizione tutta libera ed indipendente dal vescovato” perché dipendeva direttamente dalla Santa Sede.
Il 18 novembre 1228 San Giuliano era già invocato come protettore di Rimini, insieme a San Gaudenzo, uno dei primi vescovi della città, vissuto in un’epoca incerta, a cui era dedicata una chiesa in località Lagomaggio, del secolo scorso. Per onorare i propri patroni celesti, il comune stabilì che nel giorno della festa di ciascuno dei due l’ufficialità municipale si recasse a pregare nel rispettivo santuario dopo di che si disputasse un palio, cioè una corsa di cavalli, il cui regolamento si trova nel codice Torsani in cui nel secolo XV furono trascritti gli statuti trecenteschi di Rimini.
Ecco il racconto del Battaglini: “Né mancò finalmente a festeggiamento di quel giorno che il Comune ordinasse il correre de’ cavalli onde abbiamo né nostri antichi Statuti la rubrica CXLV. del Lib. II. nel codice Torsani la quale prescrive che in festo scti Juliani annnuatim curat bravium octo brachiorum scarlechti qui detur primo venienti et una porchetta assa que detur secundo venienti et unus galus cum uno marsupio novo ad collum dicti galli cum una libra piperis qui detur ultimo venienti. Quod bravium cum dictis porchetta et gallo debeant stare in capite fori iuxta terrenum seu domum que olim fuit hominis scti Jiuliani de foro et equi qui currunt incipere debeant ad currendum ab AQUA VISERBE veniendo per stratam rectam per burgos et civitatem usque ad dictum bravium et quilibet equus qui currit non sit minoris valoris quinquaginta libr rav.
Altra rubrica non poco a questa conforme, che è la LXXIV del libro medesimo ne insegna ancora che tutti gli uomini della Città furono da principio soliti spontaneamente e poscia obbligati di fare offerta nel dì festivo del Santo d’un cereo di mezza libra; dandone esempio il podestà, e i quattro officiali del Comune, che seguitati da tutti i consiglieri andavano ad orare all’arca sua con presentazione di un palio d’otto braccia di scarlatto: “Potestas et quatuor officiales seu eorum locum tenentes cum toto consilio generali teneantur visitare ecclesias et archas beatorum Gaudentii atque Jiuliani martirum in eorum festivitatibus et unicuique offerre unum pallium sete et in festo scti Jiuliani scarlectum de octo brachiis expensis comunis cum porcheta et gallo et stet pallium in festo scti Gaudentii in trivio plathee maioris in capite civitatis iuxta portam sci Petri et incipiant currere equi iuxta pontem sci Iacobi de secundo in festo vero scti Juliani stet palium scarlecti in capite fori versus portam sci Genexii et incipiant currere equi ad PONTEM VISERBE et curant usque ad locum predictum fori”.
Il 22 giugno, giorno di San Giuliano, i cavalli dunque correvano dal ponte di Viserba a piazza Tre Martiri dove il traguardo era posto dalla parte di Porta S. Genesio (l’arco d’Augusto), circa all’altezza della chiesa dei Paolotti.
A quella specie di gran premio si potevano iscrivere soltanto i cavalli di pregio, il cui valore, precisava il regolamento, non fosse inferiore a 50 lire ravennati. Il primo premio consisteva in un palio o stendardo di otto braccia (circa 5 metri) di scarlatto; al secondo toccava una porchetta ed all’ultimo arrivato davano un gallo con al collo un sacchetto da una libbra di pepe. E siccome una libbra di pepe a quei tempi aveva un valore notevole, la gara doveva svolgersi in modo piuttosto curioso.
Quando i primi due erano in fuga gli altri cominciavano a gareggiare tra loro per chi arrivava ultimo con conseguente doppio totalizzatore: si scommetteva sul primo arrivato e sull’ultimo!
Con tutta probabilità il percorso di gara si sviluppava per la strada della Sacramora perché a norma di regolamento i cavalli dovevano partire dal Ponte di Viserba “Veniendo per STRATAM RECTAM, per BURGOS et CIVITATEM”.
E dal ponte del mulino la strada della Sacramora, come abbiamo visto, correva diritta fino al Marecchia, poi piegava bruscamente a destra entrando in borgo S. Giuliano per Porta Gabelletta, quindi dopo un’altra stretta curva a sinistra entrava in città per il Ponte d’Augusto.
"articolo di Alessandro Serpieri (Il Ponte, 2 marzo 1997)"
"articolo di Alessandro Serpieri (Il Ponte, 2 marzo 1997)"
Maria Cristina Muccioli per Ass. IPPOCAMPOVISERBA
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