A Viserba, specialmente d’estate, può capitare di incontrare un signore dall’aspetto elegante a passeggio con la moglie, seduto al tavolino di un bar o sotto l’ombrellone con un libro in mano. Ma a chi verrebbe in mente che quell’uomo dai capelli bianchi sia uno dei più importanti poeti italiani, esponente di spicco della neo-avanguardia del Novecento? Elio Pagliarani, abituato a platee letterarie di grande prestigio, ogni anno torna per le vacanze estive nella natìa Viserba, che lasciò all’età di diciotto anni per l’avventura milanese. Trasferitosi a Roma nel 1960 (dove vive tuttora con la moglie Cetta Petrollo, scrittrice e giornalista, direttrice della Biblioteca Vallicelliana), il poeta non ha mai reciso il cordone ombelicale che lo lega alla terra delle origini. Sorride e si commuove, nel ricordare mamma Pasquina che, all’età di appena dieci anni, iniziò a lavorare a Corderia falsificando la data di nascita sui documenti. “La mamma era del 1907 e a quei tempi bisognava avere almeno undici anni, per essere assunti.” Il babbo Giovanni, socialista convinto, faceva il vetturale: la sua carrozza era fissa in piazza Pascoli a servizio dei ricchi villeggianti. “Elio bambino - racconta Cetta aiutando la memoria del marito - ogni giorno gli portava il pranzo in bicicletta. E, sempre con la bici, per qualche stagione fece il fattorino per le ville dei ricchi.” Ricordando l’uso tutto romagnolo di dare soprannomi alle famiglie, Elio spiega: “A Viserba i Pagliarani appartenevano a tre rami diversi: i Sc-iupàz, i d’la Chèsa e i Bisugnìn. Noi eravamo del primo gruppo.” La casa dell’infanzia, piccola e col giardino, sorgeva all’angolo fra le vie Mazzini e Lamarmora, dove ora c’è il condominio con l’appartamento di famiglia. “D’estate andavamo a dormire nella stalla per lasciare posto ai bagnanti - racconta il poeta, sempre tramite la voce di Cetta - E pensare che poi, a Roma, ho abitato in una delle più belle dimore della città, la famosa casa-studio di via Margutta.” Il diario della giovinezza viserbese prosegue con gli anni del liceo al Serpieri, il treno preso sempre all’ultimo momento, la fuggevole esperienza come bancario al Credito Romagnolo. Poi la partenza per la Milano del boom economico, l’università a Padova, l’insegnamento, le collaborazioni giornalistiche, i premi letterari. “A Milano e a Roma mio marito non ha mai voluto perdere l’inflessione romagnola e i suoi amici lo hanno sempre notato - sottolinea Cetta - Ogni volta che torniamo qui basta poco per riprendere un po’ di dialetto.” Da qualche tempo alcuni angoli della memoria di Elio sono un po’ in ombra a causa di problemi di salute, ma il suono del dialetto, durante l’intervista, ha avuto un esito sorprendente e quasi miracoloso: l’attenzione risvegliata e un sorriso ammiccante, da ragazzino canaglia (‘na ligéra). “I santarcangiolesi sono detti zvulòun, i riminesi sipuléin; e il pataca, l‘invurnìd, paga Palloni…” “E’ vero! Si diceva proprio così! Amarcord !” La chiacchierata del poeta viserbese con la cronista, dal momento in cui è stata incorniciata nella lingua dell’infanzia, ha assunto una sfumatura decisamente originale ed irripetibile.
Maria Cristina Muccioli per Ass.IPPOCAMPOVISERBA
Elio Pagliarani compie 83 anni il 25 maggio, dopodomani. Auguri dalla "sua" Viserba.
RispondiEliminaAuguri Signor Elio!!! anche se con qualche giorno di ritardo...
RispondiEliminaps Ora ho capito cosa significa quando mio nonno da piccola mi chiamava sempre "bruta ligéra"...ero una canaglia ...già allora..:-)